Younggucci è il nome d’arte di Gabriele Brienza, nato a San Giovanni Rotondo nel 1998.
L’artista nasce in Puglia, ma cresce in Basilicata fino ai 18 anni, per poi vivere a Genova, Torino e infine Milano. All’età di 17 anni entra nel collettivo trap FSK Satellite, creato insieme a Taxi B, Chiello e Sapobully. Uscito dal gruppo si dedica ad una florida attività solista producendo singoli che supereranno le 600k views su Youtube. La sua collaborazione con il rapper Boro Boro gli porta milioni di stream ed un disco d’oro. YOUNGGUCCI stringe poi un sodalizio artistico con Ric de Large, suo produttore attuale, dalla cui collaborazione nascono i brani “Pezzi da 20” e “Avvocato”. Viene in seguito notato dall’etichetta discografica Hokuto Empire, con cui inizia un nuovo percorso artistico che porta alla pubblicazione dei singoli “Beatles” e “Mezzococco”.
Lo abbiamo raggiunto al telefono per farci raccontare qualcosa su di lui e sui suoi progetti.

Ciao! Inizio questa chiacchierata chiedendoti come sta andando questo periodo di lockdown per una persona che vive di musica.
Senza dubbio male dal punto di vista delle entrate, senza live non si guadagna come prima. Paradossalmente in questo periodo sono calati pure gli ascolti su Spotify. Il mio genere è un genere prevalentemente da discoteche o da mettere a palla in macchina mentre si esce con gli amici ed ovviamente queste cose non si possono più fare. A livello di scrittura e produzione sono però molto più attivo di prima, che è una cosa strana. Scrivo tanto, registro tanto, sono sempre in studio ed ho sempre qualcosa di nuovo che bolle in pentola!
Cosa hai quindi in ballo nel futuro prossimo vista questa grande attività?
Senza dubbio uscire con qualcosa di più di un semplice singolo, un album od un EP che sia. I pezzi ci sono, la mentalità c’è, il team è pronto. Bisogna solo finalizzare il tutto. Prima uscirà però un altro singolo.
Da cosa deriva questo tuo nome d’arte così particolare?
E’ nato in una maniera strana. In precedenza, anche da writer, mi chiamavo Sebez. Mentre scrivevo il primo pezzo di questo nuovo genere che avevo intrapreso, dovevo chiudere una strofa che iniziava con “In giro mi stanno chiamando…”. Siccome il pomeriggio ero andato con i miei amici a fare shopping da Gucci, qualcuno suggerì “Gucci” e mi piacque subito. Young deriva dalla scena americana dove tutti si chiamano Young, Lil e diminutivi simili. Ai tempi nessuno in Italia aveva Young davanti. Pubblicai il pezzo facendomi chiamare ancora Sebez ma, visto quello che dicevo nel testo e visto l’immenso successo, venne immediato cambiare anche il nome d’arte.
Non sei l’unico a riferirti spesso a lusso o marche. Quanto nella scena rap è vero e quanto è pura ostentazione?
Innanzitutto i vestiti di marca ed il lusso devono essere un plus, un qualcosa che se c’è ben venga, perchè a livello di immagine ti pompa tantissimo ma non deve essere un elemento fondamentale ed imprescindibile. C’è stato un periodo in cui avevi successo solo se nei pezzi dicevi di essere ricco però per fortuna è durato pochissimo. Oggi è giusto che tu lo dica solo se ha senso per te dirlo ma non puoi basarti solo su questo nella tua carriera.
E i testi?
Se andiamo a discutere su quanto quello che viene detto nei testi rap sia vero si potrebbe aprire un dibattito intero. La maggior parte degli emergenti copia quello che sente nei testi degli americani e si inventa tantissime stupidaggini per darsi un tono anche se sono dei ragazzini che non sanno niente di strada. La musica è importante che sia personale, vera e sentita in generale ma la trap in particolare, ricordando le origini e da dove proviene, è fondamentale che sia un genere dove tu racconti al 100% te stesso senza inventare nulla. Poi ovvio che se fai qualche piccola modifica della realtà non succede niente.
Quindi immagino che quello che racconti nei tuoi pezzi sia tutto reale.
Certo, ovviamente posso allungare un pochino il brodo ogni tanto, ma il contenuto in sè è completamente vero dalla A alla Z, è la base, sennò il gioco non vale la candela.
Cosa pensi della scena rap di oggi, anche rispetto a quella di 10-15 anni fa?
E’ un mercato che si è evoluto rapidamente, come tutta la musica in generale ed è giusto che i gusti e gli interessi del pubblico siano sempre in continuo mutamento. Per certe cose il cambiamento è stato positivo e per altre negativo. Una volta si faceva a gara tra chi era più figlio della strada e a chi era più povero ed anche chi magari era figlio di papà nei testi diventava povero, emarginato e nei centri sociali. Oggi, come abbiam detto prima, è diventato vero il contrario e si è iniziato a discutere su chi fosse più ricco. Una volta inoltre il rap era una musica poco conosciuta, che spesso veniva derisa, erano in pochissimi quelli (come Fabri Fibra) che riuscivano a farci dei soldi e a farsi conoscere. Se dicevi che facevi rap ti ridevano dietro, oggi sei un gran figo, vieni preso sul serio. In classifica di vendita ci siamo solo noi.
Cosa ci riserverà il futuro?
Ci sarà sicuramente un nuovo cambiamento, la trap ormai è contaminata con il pop, in America ci sono tantissimi sottogeneri, probabilmente tra un po’ di tempo arriverà una nuova ondata, un nuovo stile e chi riuscirà a cavalcarlo per primo sarà quello che ci farà più carriera.
Chi sono gli artisti che spaccano di più in questo momento?
Assolutamente in Italia il migliore è Sfera Ebbasta, è il padre fondatore della trap italiana, uno che ce l’ha fatta e che ha fatto in modo venissimo presi sul serio. Al secondo posto metto Capo Plaza che amo in tutto, come mood, come abbigliamento, come modo di raccontarsi e di gestire i social. Al terzo posto un nome emergente che probabilmente non conoscerai, si chiama Damian.
A livello internazionale invece al primo posto gli Shoreline Mafia, poi Chief Keef ed artisti drill come Pop Smoke che ho ascoltato tantissimo da quando è morto.
Chi era il tuo riferimento quando hai iniziato a rappare?
Fabri Fibra. Avevo circa 9 anni, ero un bambino, ascoltavo anche Vasco Rossi. Un giorno vedo passare su un canale musicale Mal Di Stomaco, un video che inizia annunciando la finta morte del rapper. Non sapevo chi fosse questo personaggio e chiamai tutto trafelato mio padre dicendogli che era morto. Ai tempi non si usava Internet come si usa adesso, mi ascoltai quindi pian piano tutte le canzoni di Fibra fino a poi scoprire qualche tempo dopo che non era effettivamente morto davvero ma era solo il video. Da lì fu amore a prima vista. Altri rapper importanti furono la Dogo Gang ed Inoki ma Fibra rimane la mia ispirazione.
La collaborazione dei sogni?
Io più che a livello musicale mi devo trovare bene a livello umano con qualcuno, comunque se ti devo dire un nome che penso possa far venire una figata ti dico quello di Guè.
A cosa punti nella tua vita?
A differenza di molti altri non punto ad avere il milione di follower o a campare facendo musica ma punto soprattutto a fare in modo che la gente si ricordi di me, a lasciare un’impronta, a fare qualcosa di rivoluzionario che cambi il mondo. La censura oggi è terribile, il mio scopo è anche quello di rivoluzionare il tutto, di fare in modo che la gente possa avere libertà di dire e fare quello che vuole.
Quanto conta il pubblico per te?
E’ importantissimo, son loro quelli che fanno girare i pezzi, senza un pubblico affezionato non vai da nessuna parte. Le persone che ti seguono devono supportarti, credere in te e poi sta a te cercare di stupirli. La vera forza di un’artista è il pubblico.
Come ti rapporti quindi ai social?
Sono un mezzo, fan parte del pacchetto, sono importanti per spingere i pezzi ma se non ci fossero non mi dispiacerebbe, sarebbe bello tornare a quando la musica si faceva benissimo solo su Youtube e su Spotify.
Come ultima domanda, visto che ci occupiamo di molte cose su questo sito, ti chiedo se avessi qualche serie TV da consigliare ai nostri lettori!
Qualche giorno fa ho visto Lupin, molto carina, poi Omar Sy è un grandissimo. Non sono in realtà un grandissimo amante delle serie tv, la mia serie preferita in assoluto è Rick & Morty ma mi piace anche molto Prison Break.