In occasione dell’uscita del videoclip di “Padre e figlio“, abbiamo incontrato Cristiano Godano, al suo debutto solista dopo la trentennale esperienza sulla scena rock italiana insieme ai Marlene Kuntz

Come stai affrontando questo delicato periodo storico?
«Il primo lockdown è stato un momento di straniamento, in qualche modo una sorta di novità, non che fosse una cosa piacevole a tutti i costi, però era per tutti noi una situazione nuova. Questa ricaduta, invece, crea ansie diverse perchè ci stiamo rendendo conto di quanto sia difficile capire dove e quando sarà la fine di tutto ciò. In più appartengo ad una categoria lavorativa che è messa nelle condizioni di non poter far nulla, per cui c’è un po’ di ansia in sottofondo».
Stati d’animo che un po’ si riflettono nelle canzoni che compongono il tuo primo album solista “Mi ero perso il cuore”, rilasciato lo scorso luglio…
«Sì, sembrerebbe che il mio disco intercetti un po’ di stati d’animo comuni in questo periodo, pur avendolo scritto in tempi non sospetti. Diciamo pure che quello che penso e scrivo, mediamente, può essere adatto a tutte le stagioni negative (sorride, ndr). In genere le mie composizioni vanno in una direzione ombrosa, specie quando affronto tematiche di natura esistenziale, perchè fa parte del mio codice deontologico. Il mio modo di concepire l’arte è questo, non ho paura di sporcarmi le mani e di raccontare cose che possono restare universali nel tempo. Al contrario dei grandi tormentoni estivi, che non durano più di una stagione».
Per raccontare il tuo disco, infatti, hai parlato molto del coraggio della paura…
«Non ho mai avuto il timore di raccontare questo tipo di sensazioni. Di questi tempi, poi, sarebbe sconsiderato disconoscere temi come la vulnerabilità. Il mio album è costellato di questo coraggio, che fa parte di un percorso molto connesso con la consapevolezza, un valore per me molto importante. Se continui a nascondere determinate cose, a non analizzare e accantonarle, non acquisisci questo tipo di cognizione. Per molti, la via più veloce è scegliere di non riflettere».

Uno dei temi affrontati è quello della genitorialità, come si è evoluto negli anni il rapporto con tuo figlio?
«Oltre ai brani presenti nel mio nuovo lavoro, mi vengono in mente almeno altre due canzoni del passato il cui dedicatario è Enrico, “Serrande alzate” del 2001 e “Pensa” del 2012, contenuta all’interno del disco “Canzoni per un figlio”, un concept album che racchiude i pezzi connessi con il tema della genitorialità. Ci sta che io sia attratto da questo argomento, per creare una circuitazione che abbia un valore artistico. Anche lui è pervaso da quel tipo di passione che sperimentavo anch’io all’epoca, a differenza mia ci sta provando con il rap e la trap».
Gli hai dato dei consigli?
«L’ho messo in guardia dalle tante difficoltà che hanno a che fare al giorno d’oggi con la musica, pur bazzicando in un mondo musicale molto diverso dal mio, non solo per questioni stilistiche, ma anche per i tempi che sono completamente cambiati. Un divario che racconto anche nella rubrica che curo su Rolling Stones, chiamata “Elzevirus”. La musica è diventata altro al giorno d’oggi, è una questione di marketing e di comunicazione. Ne parlo tanto con Enrico, lo metto in guardia, facendogli notare che ci sono moltissime probabilità di non farcela. Per questo gli consiglio di mettere in campo un piano B importante».
E cosa è diventata, secondo te, la musica oggi?
«Purtroppo con il web non c’è una remunerazione, internet ci ha rubato la musica. Si tratta di una grande frode purtroppo in atto. Di recente John Foxx ha dichiarato di aver guadagnato 37 sterline con il suo ultimo pezzo, che ha generato oltre un milione di stream. Questo dato riguarda il 95% della comunità di musicisti mondiali, a mio figlio queste cose gliele devo far notare, essendo lui nativo digitale, spiegandogliele con l’esperienza che ho accumulato nel corso degli anni».
Per tanto tempo c’è stato silenzio intorno a questa questione…
«Sì, personalmente mi sto lamentando di questa cosa da oltre dieci anni, ma anche i Radiohead hanno anticipato i tempi come il sottoscritto. Loro hanno sempre cercato di contrastare questo fenomeno vergognoso, provando a portare a casa il loro tornaconto perchè internet ce l’ha rubato. Non ho mai capito perchè non la si poteva dire questa cosa, quello che noto è che i musicisti sembra che si siano definitivamente accorti di questa situazione».
Tornando ad Enrico, lo hai coinvolto nel videoclip del tuo nuovo singolo “Padre e figlio”. Com’è nata questa idea?
«Chiuso il disco, era latente in me l’idea che questa canzone potesse essere scelta anche per realizzarne un video, ma non mi sarei mai permesso di andare fino in fondo nel progetto in sé, conoscendo la tipica ritrosia di un figlio che si deve contrapporre al padre per definizione. Quindi, non pensavo di poter portare a termine questa volontà. Poi, un giorno, sentendo l’amico e regista Fernando Maraghini, mi ha tirato fuori questa idea».
In conclusione, un tuo pensiero su quello che sta accadendo riguardo questo lungo stop dei live?
«Penso che tutto quello che si è fatto per sensibilizzare chi di dovere fosse doveroso. Poi, arriva Sanremo, si cerca di far entrare a tutti i costi la gente all’Ariston e mi domando a cosa sia servito tutto ciò. Che si cerchi di fare il Festival posso capirlo, va bene, ma che si cerchi di avere a tutti i costi il pubblico, non lo trovo corretto nei confronti di tutte le persone che sono ferme a causa dei teatri chiusi e dei live fermi. Cerco di essere onnicomprensivo nella mia valutazione delle cose, però almeno non con il pubblico, subiremmo un’onta».

© foto di Guido Harari