E’ disponibile nelle librerie fisiche e online il libro “Edizioni Curci – Una storia italiana da 160”, volume che ripercorre le tappe più importanti dell’azienda leader nel settore dell’editoria

Innumerevoli i successi mondiali pubblicati in 160 anni di storia dalla Curci, azienda leader nel settore dell’editoria, basti pensare a “Nel blu dipinto di blu” o “Io che non vivo”, una lista che si arricchisce di decennio in decennio, fino ad arrivare ai giorni nostri con la splendida vittoria di “Fai rumore” al Festival di Sanremo. Ripercorriamo insieme le tappe fondamentali dell’azienda, guidata sempre dalla stessa famiglia, con l’attuale direttore Alfredo Gramitto Ricci.
Quella della vostra famiglia è una storia che parte da molto lontano…
«Sì, parte da Avellino nel 1860, con l’apertura di un negozio di strumenti musicali. I miei trisavoli intuirono il grande fermento culturale che si respirava all’epoca, parliamo dell’anno precedente l’Unità d’Italia. Nel giro di poco tempo gli affari si fecero interessanti, grazie all’importazione di pianoforti importanti dall’estero e alla nascita dello spartito. Dalla provincia la mia famiglia si trasferì a Napoli, per poi allargarsi nel 1932 aprendo le sedi di Roma e di Milano, nella storica location di Galleria Del Corso numero 4, dove siamo tutt’ora».
Com’è cambiato negli anni il ruolo della vostra azienda?
«Tra gli anni ’40 e ’50, mio nonno Alfredo intuì il grande potenziale dell’industria cinematografica, cominciando a collaborare con le grandi case di produzioni americane. Successivamente, con la nascita del Festival di Sanremo, ci specializzammo nella parte relativa agli autori e nell’editoria musicale».

Fino alla consacrazione nel 1958 con la vittoria di Domenico Modugno a Sanremo
«Esattamente, lì era già subentrato mio padre, fu lui a scovarlo e a portarlo al Festival con “Nel blu dipinto di blu”. All’epoca non eravamo una casa discografica, così abbiamo dovuto cedere l’artista Modugno, non l’autore, alla Fonit Cetra. Il conseguente successo internazionale, spinse mio padre a fondare l’anno seguente la Carosello, per dare sfogo ai cantautori nascenti che, proprio in quegli anni, stavano per porre fine al monopolio degli interpreti».
In qualche modo avevano anticipato i tempi?
«Sì, da un lato si cercava di sviluppare la parte discografica, mantenendo comunque saldo il nostro core business relativo alla parte aurorale. Carosello nacque inizialmente per accompagnare la Curci, non per prenderne il posto, il nostro imprinting è sempre stato più editoriale. Insieme abbiamo lanciato tanti autori, alcuni dei quali cantavano le proprie canzoni, vedi Memo Remigi, Giorgio Gaber, Toto Cutugno e Vasco Rossi».
Arrivando, in tempi più recenti, ad Edwyn Roberts e a Diodato
«Edwyn fa parte del nostro corso editoriale, Antonio di quello discografico. Si sono conosciuti e hanno cominciato a collaborare in uno dei nostri camp di scrittura, che organizziamo circa una volta l’anno. Da questo incontro e dalla loro amicizia è nata “Fai rumore”, che ci ha regalato una bellissima soddisfazione nella passata edizione di Sanremo».

La vostra è una bella storia italiana, ma anche e soprattutto milanese
«Dagli anni ’60 in poi, Milano è stato l’epicentro dell’industria musicale. Da qui non me ne andrei più, un legame non solo affettivo, ma anche lavorativo, considerato lo sviluppo che ha avuto nel corso dei decenni. Inutile dire che nell’ultimo anno tutto si è fermato, ma si avverte tanta voglia di riprendere in mano le redini della situazione».
L’editoria e la discografia ce la faranno a superare questo momento?
«Siamo molto in difficoltà, però ci crediamo. Per quanto ci riguarda, abbiamo delle ottime riserve, cerchiamo di fare le cose “cum grano salis”, come si suol dire. Penso che, se non tutti, la maggior parte ce la faranno. La voglia di rimanere è tanta».
Quali sono le principali criticità del vostro settore?
«Per noi che siamo editori puri, sebbene affiancati dalla Carosello in ambito discografico, il grande problema è la totale assenza di pubbliche esecuzioni. Non mi riferisco solo ai grandi concerti, bensì a tutto quello che viene suonato in alberghi, ristoranti, pianobar. Considerato il nostro vastissimo catalogo, detenendo l’intero repertorio di Baglioni e di Venditti, i primi dischi di Vaso Rossi e di Tiziano Ferro, capisci bene cosa vuol dire per noi la mancanza di attività live. Per noi è insostenibile, viviamo di diritti d’autore, i nostri investimenti vanno tutti in quella direzione».
Il Festival riuscirà a portare una boccata d’ossigeno all’intero settore?
«Per me sì, da un punto di vista discografico non sono preoccupato per il futuro, per l’aspetto editoriale c’è da vedere. Dopo tutto questo clamore, è chiaro che Sanremo darà una bella spinta, riportando l’attenzione attorno al nostro mondo in maniera molto importante. Bisogna sapersela giocare bene, per riuscire a lanciare da quel palco messaggi importanti. Parlare di problematiche reali, senza porre l’accento sulla questione dei figuranti, piuttosto che sui pochi secondi di canzone spoilerati involontariamente da Fedez. Dev’essere un occasione, questo è l’augurio».