Archiviata l’esperienza con i Canova, Mobrici torna con il singolo “20100“, brano che apre la strada al suo nuovo percorso da cantautore

Com’è nata l’idea di questo titolo?
«Quando scrivi una canzone devi intitolarla, anche solo banalmente per salvarla sul computer. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata legarla a qualcosa che avesse a che fare con la mia città, perchè in questa canzone Milano fa da sfondo. Si tratta di un CAP non è più in uso, per cui mi piaceva l’idea di unire un elemento del passato ad una storia che non fa più parte del mio presente».
Lo consideri uno di quei pezzi in cui ci si può immedesimare facilmente?
«Credo che ci si possa immedesimare, come in tutte le forme di verità. Non mi capita mai di pensare alla pubblicazione, scrivere per me è un vero e proprio sfogo. Una volta rese pubbliche, le canzoni possono trovare anche altri protagonisti nel pubblico. Mi sono arrivati tantissimi feedback per questo pezzo, ma penso sia normale quando si parla di cose vere. Noi umani siamo un po’ tutti uguali alla fine, viviamo le stesse esperienze».
Incendiare la stazione, rubare e bruciare la Madonnina… sono atti di vandalismo che, naturalmente, in forma canzone assumono il ruolo di metafore…
«Sì, mi serviva questo tipo di violenza per attirare l’attenzione di questa persona, uno stato d’animo vicino a quel tipo di sensazioni che avevo. Si tratta di immagini molto forti, ma vicine ai sentimenti intensi».
Capita di pensare di fare qualsiasi cosa per riconquistare qualcuno, ma poi nel concreto cosa ci frena?
«Ci frenano le dinamiche umane, ma è anche una questione di carattere. Sai, le famose scritte sui muri, le serenate e quei discorsi lì. Io purtroppo sono molto diverso, tendo a chiudermi, per poi comunicare quello che provo attraverso le canzoni, poi sta all’altra persona cogliere o girarsi dall’altra parte».
Un brano nato di getto, ma in fase di produzione cosa ti ha spinto a mantenere intatta quella stessa essenzialità?
«Non penso mai alla pubblicazione delle canzoni, è un argomento che francamente mi riguarda poco. Però, ci tengo tanto a seguire tutto il processo che va dalla composizione alla loro uscita, per far sì che tutto rimanga il più possibile naturale. Quando ho scritto questo brano, l’ho girato alla persona a cui era destinato, in un versione completamente piano e voce. Non è detto che tra qualche giorno non la tiri fuori, per far sentire lo sviluppo che c’è dietro un pezzo».
“20100” inaugura il tuo percorso solista, come te lo immagini questo nuovo viaggio dopo sette anni di vita vissuta in una band?
«Sicuramente molto diverso, perché quando sei abituato a vivere con altre persone ti senti molto protetto. Da solista, invece, non c’è alcun tipo di protezione, c’è il mio cognome in bella vista a nome dell’intero progetto. Per forza di cose, d’ora in poi sarò esposto al massimo. Ho sempre avuto molta libertà di scrittura, l’obiettivo è quello di non avere mai dei vincoli, di lasciarmi andare sempre all’istinto».
Secondo te, esiste ancora differenza tra indie e pop …oggi?
«L’indie è sempre stata una specie di attitudine, più che un genere musicale, un po’ come il rock and roll. Credo che ci siano stati due-tre anni in cui questo approccio artistico era evidente e molto forte. Una libertà di scrittura che ha portato una specie di rivoluzione che, in fin dei conti, penso sia servita. Basta guardare il cast del prossimo Festival di Sanremo, ipotizzarlo qualche anno fa sarebbe stato impossibile. Prima era come se ci fosse un freno tra i piccoli palchi e le grandi radio, oggi sembra tutto più meritocratico».
Come lo stai vivendo questo momento di stop forzato dai live?
«C’è un grande problema logistico legato a tutti i tecnici che non hanno la possibilità di lavorare da ormai un anno, gente che non può svolgere il proprio mestiere. Per quanto riguarda gli artisti, credo e spero che sia solo una questione di tempo, il problema reale è per l’intero indotto. Quando torneranno i concerti inizierà una nuova era e ci lasceremo tutto alle spalle tutto. Sarà un segnale molto forte».
Stando al tuo percepito, consideri cambiata la tua città nell’ultimo anno?
«Io ho un rapporto di innamoramento giornaliero con Milano, mi piace girarla a piedi, andare a cogliere i dettagli, perché credo sia una città molto poetica. Nell’ultimo anno il cambiamento c’è stato sicuramente, si spera momentaneo. E’ una realtà che comunque non si è fermata, nonostante sia state tra le più colpite dalla pandemia. Milano è stata violentata, ma sta andando avanti. Credo sia una città molto forte, con una grandissima energia».