In attesa di tornare a vivere di live, senza più vincoli e schermi, proviamo a viaggiare tra le pieghe del rapporto d’amore tra Milano e la sua musica

Nel 2021, con le ombre dei lockdown e delle restrizioni, riuscite ancora a immaginare un barbapedana far breccia in un caffè-concerto all’angolo con la via Gluk dopo averle suonate ai pendolari della stazione Centrale dall’alba al tramonto incantandoli o infastidendoli con le corde e le litanie del dialetto milanese?
Ovviamente no, ma lo stesso esercizio liberty non sarebbe riuscito neppure 30 anni fa. Il mondo tutt’intorno tutto sommato era già questo, semplicemente lo si osservava e ascoltava di più. Oggi il mondo è dappertutto, e anche la musica è dappertutto.
A noi il compito di selezionarla e renderla protagonista e non semplice sottofondo, darle un volto e una storia, infine – magari sforzandosi un attimo – darle anche un luogo.
Sempre meno etichette
Ecco perché Milano “con i suoi sarti e i suoi giornali, con i suoi terroni settentrionali e i suoi industriali” cantata qui dal romano De Gregori, proprio perché Milano dal 1990 a oggi ha sempre meno etichette da appiccicarsi addosso.
Questo anche grazie, appunto, all’estensione musicale che non la regola più solamente a singole voci o a singoli cantastorie che fanno a gara tra loro: Enzo Jannacci, Dario Fo, Giorgio Gaber per citare i più noti, dribblati in direzione nazionalpopolare soltanto dai successi per uomini e donne firmati da Adriano Celentano e da Ornella Vanoni.
O exploit sulle due direttrici sentimentale e intellettuale traslate dalla moda del prog, che andava per esempio dai Dik Dik ai quasi metafisici Area.
Onnipresente
No, Milano è adesso, sempre, onnipresente. Generazioni vecchie e nuove attraversate per esempio da Roberto Vecchioni e dall’hip-hop degli albori della posse a nome Articolo 31 che ha gettato il ponte verso il fenomeno contemporaneo J-Ax.
Insomma, ci si può far largo anche nel marasma della metropoli, classico luogo dove pullulano più parole e promesse che opportunità. Ci si poteva far largo nella Milano da ballare a cavallo tra i due secoli, epicentro di una regione e oltre tra locali da concerto e quello stupendo record inversamente proporzionale tra locale fashion e di tendenza e relativi metri quadri a disposizione.
Periferia
Perché Milano è selezione, a volte anche innaturale: vengono alla mente i percorsi da uomini duri e puri (e spesso simpatici, dote non proprio per tutti) di Elio e le storie tese, dei Vallanzaska, dei Punkreas. Fino al percorso, artisticamente rock, più chiacchierato tra “quelli che se ne intendono”. Ovvero gli Afterhours di Manuel Agnelli, che si fermeranno a qualche passo dalla consacrazione salvo poi lanciare il personaggio più carismatico.
E’ la tv, bellezza. Ma poi arriva la periferia, ciò l’hinterland, perché ormai Milano è triplicata: Mondo Marcio e le rime baritonali e baciate, le basi americane con i dolori di migliaia di ragazzi che cercano una strada mentre in strada si va sempre meno se non in determinati luoghi e con ragioni ben precise: spuntano la Milano da bere dei bad boys raccontata dal Club Dogo o i garage borghesi a Milano Nord de Le Luci della Centrale Elettrica.
Successo di culture
Milano, ricordiamolo, è però anche e soprattutto successo. A volte impronosticato e impronosticabile, che la musica è forse l’ultima arte del possibile in quanto a opportunità di sfondare barriere e sfondare in senso più commerciale. Non proprio l’America, ma quasi.
Fedez – figura che ormai travalica il concetto di musicista – che brucia i rappers in prima linea sul territorio (ma le battaglie di freestyle, i raduni, le gare di cattiveria e fantasia fanno ancora da humus) oppure Morgan che brucia se stesso dopo aver bruciato l’alt-glam-rock dei Bluvertigo.
Fino ai trappers dei giorni nostri, descrizione di una quotidianità nuova che le vecchie generazioni fanno resistenza a comprendere: la Cinisello Balsamo postindustriale e ingioiellata di Sfera Ebbasta piuttosto che la strada tra Baggio e Buccinasco che mostra la contraddittoria integrazione multietnica delle periferie milanesi attraverso i ritmi interculturali è via via più sempliciotti dell’ormai acclamato Ghali.
E domani?
E, in un domani prossimo, a chi toccherà? Si chiacchiera di Sylvia (originaria di Villanova d’Asti ma milanese per adozione artistica cresciuta ascoltando Schubert Lucio Dalla e i newyorchesi Fugazi) e di Ernia (ormai al terzo album, ma che in ambito hip-hop viene segnalato come il possibile prossimo uomo di successo nel panorama radiofonico italiano).
Milano che si trova anche nei testi dei Baustelle come di Fabrizio Moro, punto di riferimento dell’Italia che va ai mille all’ora. Milano che si è presa la scena con la seguitissima Music Week prima della pandemia e che proprio attraverso le iniziative culturali vuole mantenersi giovane, digitale e pronta al grande ritorno del cosiddetto contatto fisico. Al naturale, in Piazza Duomo mano nella mano o urlando a migliaia in mezzo a San Siro.
Articolo di Luca Momblano