Parola di Mambolosco, che si racconta in occasione dell’uscita di “Demone“, una riflessione a voce alta sui risvolti negativi del successo

Racconta una parte inedita di se stesso Mambolosco, lo fa con la sua solita penna diretta e onesta. “Demone” sviscera la faccia nascosta della medaglia, quella che spesso non mostriamo, ma che ci percuote e ci attanaglia
Partiamo da “Demone”, un brano riflessivo, quali pensieri lo hanno ispirato?
«E’ nato durante il lockdown, parlo di me e dei pensieri ricorrenti che mi passano per la testa, tra cui la paura del futuro. Il momento che stiamo vivendo da un anno a questa parte, ha sicuramente influito sul mio umore, di conseguenza sui pezzi che ho scritto negli ultimi mesi. Per quanto mi riguarda, qualcosa di buono è venuto fuori da questa pandemia».
Sbaglio o questa volta hai mostrato una parte di te più fragile, vulnerabile e sensibile?
«Esatto, mettiamola così. Di solito faccio pezzi molto più da festa, mentre questa volta mi sono lasciato andare alle sensazioni che ho provato nel momento in cui l’ho scritto».
L’impressione è che con questo pezzo tu abbia voluto creare qualcosa di evolutivo oltre che di continuativo…
«Credo di essermi evoluto molto rispetto ai miei esordi, in modo particolare a “Guarda come flexo”, proprio per questo motivo penso che “Demone” rappresenti in ulteriore step in avanti. Musicalmente penso di essere cresciuto ancora un altro po’».
Il demone di cui parli nel testo non è altro che la parte oscura del successo, quali sono gli aspetti negativi della fama?
«Più che altro la pressione, che mi porta a volte a pensare di non riuscire a realizzare un prodotto all’altezza. Avere il dubbio che quello che faccio possa non piacere, o comunque non essere adatto ad un determinato momento. Senza volersi nascondere dietro a un dito, penso che tutti gli artisti abbiano a che fare con questo tipo di turbamenti, ognuno ha il suo fardello».
A distanza di qualche mese, cosa ti ha lasciato l’esperienza del disco in coppia con Boro Boro?
«Ho capito tante cose, tipo che direzione voglio prendere musicalmente. Un’esperienza che mi ha aperto ad un altro pubblico, perchè le sonorità sono molto latineggianti e diverse dal mio primo disco “Arte”. Probabilmente mi sono cimentato più io nel mondo di Boro Boro che lui nel mio, però ci stava, perchè il progetto era nato a Barcellona, figlio di quella wave spagnola».
Che belli i tempi in cui si poteva viaggiare, anche per trarre nuova ispirazione. Quando si potrà, dove ti piacerebbe andare?
«Guarda, non mi sono mai fermato a pensare dove mi piacerebbe andare una volta che tutto questo sarà finito. Sai cosa? Me ne andrei proprio in America, tornerei per un bel po’ di tempo negli States per vedere com’è la situa».
A proposito di wave, hai più volte definito Vicenza la nuova Atlanta. Quali sono, secondo te, i punti di contatto con la scena rap milanese e quali quelli di rottura?
«Questa è una domandona, la scena di Milano è un’altra cosa rispetto a quella di Vicenza, anche perchè lì ci sono artisti provenienti anche da altre zone, che appena vedono uno spiraglio prendono e partono per quella che possiamo considerare la terra promessa dalla musica. Questo io non l’ho fatto, non mi sono voluto snaturare, perchè sono nato e cresciuto in un determinato contesto, di conseguenza mi sento di voler rappresentare da dove vengo veramente».
Cosa dobbiamo aspettarci dalle tue prossime produzioni musicali?
«Il solito Losco, ok questo è un pezzo un pochino più introspettivo, ma non mi darò certo al cantautorato (ride, ndr), resterò sempre fedele a ciò che sono. Per il futuro, aspettatevi tante belle hit. Sto lavorando molto, ho voglia di fare tante cose, magari anche al di fuori della musica, dalla moda ai film, sono aperto a qualsiasi cosa».
Quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di “Demone”?
«Il fatto che in Italia sono l’unico artista che può fare un pezzo del genere, questo mi rende estremamente orgoglioso. Poi sarà il pubblico a decidere se è un brano che vale la pena ascoltare o meno, ma io penso di aver fatto un buon lavoro e sono fiero di averlo scritto».