“Casa“ non è soltanto un luogo, ma può essere considerato un vero e proprio concetto, in questo caso anche e soprattutto un album di dieci belle canzoni scritte e cantate da Pierdavide Carone

Questo progetto rappresenta per te più un nuovo punto di partenza o la meta di un viaggio?
«Un po’ entrambe le cose, anche se può sembrare una risposta diplomatica, però effettivamente è così. Questo album rappresenta la fine di un percorso di stasi, di questi nove anni in cui ho fatto fatica ad essere attivo dal punto di vista discografico, per una serie di ragioni. Contemporaneamente rappresenta anche un punto di partenza, l’inizio di una nuova fase, possibilmente senza più pause».
A cosa si deve la scelta del titolo “Casa”?
«Quando ho iniziato a scrivere le canzoni di questo disco, circa quattro anni fa, mi stavo trasferendo da Roma a Milano, da un modo di vivere all’altro. Durante la prima fase di questo lavoro, infatti, si sentiva ancora l’odore degli scatoloni del trasloco. Al di là della title track, anche nelle altre tracce è presente il concetto di “casa”, in modi molto diversi e trasversali, per questa ragione non potevo che scegliere questo titolo».
A proposito di Milano, come sei stato accolto qui e in che termini è stato utile per te questo trasferimento?
«All’inizio sono stato accolto dalla Milano più cliché che possiamo intendere, in un secondo momento ho dovuto capire io cosa volessi realmente da questa città. Così ho scoperto una certa disciplina nel lavoro, intesa anche come rigorosità e come costanza, tutti aspetti che prima non conoscevo e che hanno facilitato la parte creativa».
Scrivere un album come questo, ti ha aiutato a sentirti meglio con te stesso?
«Di sicuro mi ha aiutato a fare pace con situazioni che per me erano diventate un po’ delle zavorre, a volte anche le cose che più amiamo possono tenerti legato a terra. Se all’inizio il mio trasferimento da Roma a Milano poteva essere considerato per certi versi come una fuga da qualcosa, lavorare a questo disco mi ha aiutato a fare pace con una parte del mio passato».
A questo punto del tuo percorso, credi di aver raggiunto il giusto equilibrio tra chi sei e chi vorresti essere?
«Oggi so chi voglio essere, questa è già una consapevolezza importante. Chiaramente la strada è ancora lunga, in questo momento non ho ancora raggiunto completamente questo obiettivo e ne sono felice, perchè ho trentadue anni e non vorrei passare il resto del tempo ad annoiarmi (ride, ndr)».
Crescendo è cambiata la tua percezione della musica rispetto agli esordi?
«La mia percezione della musica credo di no, anzi, questo disco spero che sia la dimostrazione del mio modo di intendere questa forma d’arte. Negli anni, per un concorso di colpe, magari è cambiata la concezione della discografia, in modo reciproco. Nonostante in nove anni questo mondo sia cambiato parecchio, spero che ci possa essere ancora un posto importante per la mia musica».
Da abile artigiano di canzoni quale sei, c’è un aspetto che ti affascina particolarmente nella fase di composizione di un pezzo?
«Una cosa che ancora mi sorprende, quando succede, è riuscire a scrivere qualcosa che non mi evochi nient’altro, perchè chiaramente è stato detto e fatto quasi tutto in musica. Quando capita, riesco ancora a commuovermi e gioire come un bambino, a riprovare le stesse emozioni della mia prima canzone, a vivere ogni volta intensamente questo piccolo miracolo».
La prosecuzione ideale di un disco è sempre la dimensione live, quanto ti mancano i concerti?
«Moltissimo, non sto più nella pelle. In tutti questi anni di assenza discografica, la cosa che non mi sono mai fatto mancare è sicuramente il palco. Chi mi segue sa che non mi sono mai fermato da questo punto di vista, ho sempre continuato a fare concerti. A maggior ragione, adesso che delle canzoni nuove da portare in giro, non vedo l’ora di ricominciare. Poi, chiaramente, ci sono tutte le difficoltà legate al momento storico, ma per quanto mi riguarda ho già la valigia pronta per ripartire!».