Quattro chiacchiere con i Kemama, gruppo musicale composto da Ketty Passa, Marco Sergi e Manuel Moscaritolo. “Testa o croce” è il titolo del loro EP di debutto

“Testa o croce” è il vostro nuovo EP, come si è svolto il processo creativo di questo progetto?
«Il nostro primo EP nasce da un viaggio interiore che abbiamo deciso di affrontare nella maniera più completa in cui potessimo farlo, ovvero attraverso il nostro contatto con la musica. Quando il mondo si è chiuso in casa abbiamo deciso di non fermarci nel contatto col nostro mondo interiore e lo abbiamo esplorato insieme; è stato un ottimo modo per usufruire della parte mezza piena di un bicchiere che ci ha spesso fatto pensare che avremmo davvero “patito la sete”».
Quali riflessioni e quali stati d’animo hanno accompagnato la lavorazione di queste sei tracce?
«Ci siamo messi in discussione, atteggiamento secondo noi necessario in linea generale per stare al mondo dando il meglio di sè. Da quel momento abbiamo ascoltato le nostre pulsioni, utilizzato gli strumenti che avevamo a disposizione ed unito tutto quello che avevamo da dare. Dalla scelta dei contenuti e degli argomenti alla ricerca del sound, abbiamo cercato nelle nostre singolarità un linguaggio comune. Ci chiamiamo Kemama, è l’inizio dei nostri nomi, è giusto e naturale che tutto quello che viene scritto rispecchi Ketty, Marco e Manuel».
A livello musicale, che tipo di sonorità avete voluto abbracciare?
«Siamo partiti con l’idea comune di produrre un sound che ci rappresentasse, ognuno di noi ha portato nei Kemama la propria personalità, maturata in anni di musica. Il rock è sicuramente la matrice base da cui partiamo e che conosciamo meglio. Partendo da nostre idee abbiamo attinto a sonorità anglosassoni che seguiamo con particolare attenzione, creando di conseguenza un sound personale che riteniamo originale.
Le ispirazioni sono comunque molteplici quando ascolti tanta musica, ci emozioniamo sentendo dei riff, dei synth, delle soluzioni ritmiche o una linea vocale da cui poi ci parte il viaggione mentale, che traduciamo e facciamo diventare brano con strumenti alla mano. Il sound è un parte fondamentale del nostro processo creativo, assieme all’argomento che andiamo a trattare, poiché sono lettere e punteggiatura della stessa lingua».
“Poveri demoni” è il singolo scelto per accompagnare l’uscita di questo lavoro, cosa racconta?
«”Poveri demoni” è il singolo con cui abbiamo identificato quel lancio della monetina, quel bisogno di buttarsi senza pensarci troppo, quel coraggio di affrontare i mostri che troppo spesso fingiamo di non vedere. Quando ho scritto il testo (Ketty), ho pensato fosse nella pietra.Il brano nasce da una base che aveva scritto Manuel pochi mesi prima e nel canticchiare la melodia che abbiamo pensato, mi suonava bene la parola Demoni.
In quel momento ho deciso che dovessimo raccontare la lotta che in quei mesi ci stavamo ritrovando ad affrontare e la prima immagine a cui ho pensato sono quei balconi su cui nei primi mesi del 2020 abbiamo scritto “andrà tutto bene”, quei tramonti postati sui social per sentirci meno soli, ma che allo stesso tempo facevano emergere la paura di una situazione che da subito ci siamo resi conto fosse più grande di noi».
Nel brano “Codice rosso” ospitate Omar Pedrini, Andy dei Bluvertigo, Andrea Ra, Punkreas e Roberto Angelini. A cosa si deve la scelta di così tanti ospiti in un unico brano?
«Ognuno di questi ospiti ha collaborato per motivi diversi al brano, di cui molti mesi prima è nata la base. Bob Angelini ha collaborato subito, a prescindere da dove sarebbe poi finita nei contenuti, poiché nata in una Jam session estiva con lui. A quel punto ci serviva un basso che lo identificasse ed abbiamo pensato ad Andrea Ra perché poco prima ci siamo ritrovati a condividerci il palco in una serata meravigliosa dedicata a David Bowie.
A quel punto ho scritto il testo (Ketty), ho pensato che a quella voce femminile fosse giusto affiancare un urlo inclusivo ed ho contattato 3 artisti con cui ho una buona amicizia e tanta stima professionale.Andy rappresenta il superamento di ogni etichetta di genere, la libertà intellettuale ed artistica di cui il mondo ha davvero bisogno, Omar è un uomo dal cuore grande e voce di una generazione cresciuta in un credo Rock, i Punkreas parlano da 31 anni di questioni sociali.
Coinvolgerli è stato semplice e piuttosto immediato, appena dopo il provino abbiamo aggiunto le loro voci ed ci è sembrato tutto veramente giusto. La violenza ha bisogno di tanta gente disposta a dire NO, di gente che ricorda a chi subisce che non deve aver paura di lottare per difendere i propri diritti e di gente che chiede alle istituzioni di gestire meglio il modo in cui queste vittime possano essere difese».
Avete un featuring dei sogni? Una collabroazione che vi piacerebbe realizzare in futuro?
«Non c’è un nome particolare, stimiamo tanti artisti nel panorama italiano, ma l’esperienza ci insegna che un featuring non deve diventare un favore fatto dall’alto, ma una comunione di intenti.Speriamo che tra i nomi che preferiamo tenere nel cassetto ci sia uno di loro con cui un giorno riusciremo ad entrare in totale feeling, dal processo di creazione a quello di veicolo del messaggio».
Considerato l’attuale momento storico, cosa vi piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà questo vostro EP?
«Ci piacerebbe riuscire a trasmettere la voglia di fermarsi ad ascoltare, la voglia di conoscere la qualità dell’arte con un atteggiamento meno dozzinale e qualunquista, la voglia di riflettere su se stessi. Il mondo attuale mette una data di scadenza troppo vicina al momento in cui si nasce e questa cosa svilisce il cuore e l’anima del processo di creazione e di scrittura.
Siamo 3 millennials e siamo abituati a fare fatica, siamo cresciuti innamorandoci della crescita di artisti che nascevano dall’underground più puro e crediamo che le nuove generazioni di giovanissimi abbiano bisogno di un parallelismo all’atteggiamento liquido dei social che solo noi “giovani più grandi” possiamo far conoscere loro. Ci piacerebbe che ogni età fosse apprezzata nell’arte in maniera più universale e con meno pregiudizi».