Il duo formato da Federico e Giordano, per tutti Merk & Kremont, è tornato con un nuovo singolo dal titolo “U&U”. Anche in questo brano i due produttori milanesi si avvalgono di un featuring d’eccezione, quello di Tim North.

Merk & Kremont, la scelta di Tim North vi è stata suggerita o lo conoscevate già? 

F: <<Allora, lo conoscevamo di nome e conoscevamo le sue canzoni. Il brano è nato con lui, è scritto da lui e ha la sua voce che ovviamente abbiamo deciso di tenere.>>

J: <<La maggior parte delle volte, quando scrivi una canzone è anche bello lasciare che ci sia il feeling originale con cui è stata scritta. Questa oltretutto è nata in conversazione su Zoom perché lui è canadese. Noi avevamo il fuso a favore, ci siamo messi qua di sera, lui la mattina, poi abbiamo scritto il pezzo e dopo di che l’abbiamo finalizzato a distanza.>>

Ma plug and play one day?

J: <<Si, più o meno si, il grosso si.>>

Qual è il criterio con il quale scegliete le voci che poi dovranno cantare i vostri brani? 

F: <<Dipende molto ovviamente dal tipo di canzone, in questo caso “U&U” è un brano dance, la base è dance però volevamo un touch di vocali più urban e quindi varia a seconda della base e del mood che vogliamo dare.>>

J: <<E’ vero che dipende dal genere, nel senso che nei brani più pop, diciamo più canonici, è molto più accettata e tollerata l’interpretazione e quindi è normale che un autore scriva e poi qualcuno lo reinterpreti, anche perché i testi si sposano su tutti i personaggi. Qua invece c’è un mood un po’ più urban con un testo più slang/colloquiale.>>

Vi è mai capitato che finito un brano non eravate convinti di chi l’avesse cantato?

F: <<Tante volte è successo, ti dico la verità con “Hands Up” il primo provino non era cantato da Joe Jonas e quando ci è arrivata la sua voce non eravamo convinti al 100%. All’inizio, dicevamo che andava bene ma non ne eravamo realmente convinti, poi mano a mano abbiamo capito che effettivamente dava qualcosa in più. Certe volte è anche questione di abitudine.>>

J: <<Può capitare, ma mai da dire – “no rifacciamo da capo”. Però alcune parti le abbiamo fatte rifare perché non ci convincevano.>>

Se non ci fosse stato Joe Jonas a chi avreste pensato?

F: <<Secondo me la canzone era forte a prescindere, già quando l’abbiamo avuta in mano con il primo provino sentivamo che aveva qualcosa di speciale. Ovviamente il nome famoso aiuta molto, da risonanza e infatti siamo andati in 21 New Music Friday grazie a lui.>>

J: <<Il primo nome sulla lista era il suo perché il sound si sposava bene con le cose che stava facendo insieme ai DNCE. Il sogno adesso sarebbe fare una traccia con Adam Levine dei Maroon 5, anche l sua voce sarebbe stata figa su “Hands Up”.>>

Come può un produttore essere sempre originale se si trova a lavorare a tanti brani? 

J: <<Innanzi tutto, forse, per un produttore è più facile che per un cantante, nel senso quando sei un cantate devi sempre tener conto che la tua voce è quella li, non la puoi cambiare mentre noi possiamo tranquillamente cambiare tutti i suoni delle nostre librerie.>>

F: <<Possiamo dare un vestito diverso ad ogni cantante e questa cosa è molto figa secondo me.>>

J: <<Ovviamente è difficile perché spesso è più comodo e pratico utilizzare gli stessi suoni. Li conosci meglio, sai come gestirli, sai come mixarli… diciamo che la nostra grande fortuna è che lavorando con i suoni possiamo trovare qualsiasi cosa in due secondi. Quello ci permette di reinventarci sempre. Poi possiamo lavorare con tanti artisti che fanno tanti stili e generi diversi e quello ti aiuta a non ripeterti.>>

F: <<E’ sia un punto di forza che un punto debole.>> 

J: <<Diciamo che si, è vero perché quando i dischi suonano sempre uguali e fai quattro estati sempre in top 10 con lo stesso sound, dopo un po’ la gente inizia a stancarsi.>>

F: <<Secondo me certe volte bisogna, una volta che hai la canzone dire – “ce n’è veramente bisogno? E’ una canzone che hanno già fatto? Cosa troviamo sul mercato che la gente vorrebbe ascoltare e che non conosce?” – secondo me questa domanda è importante però, ti dirò, primo con l’avvento della urban sul pop c’è più varietà di produttori che hanno canzoni in classifica, secondo, ne parlavo anche con Zef due tre mesi fa, dicevamo che è stata bella quest’estate perché non c’era il predominio di un solo. C’erano molti più produttori con le canzoni in classifica.>>

Quali sono per voi i fattori più importanti per dare internazionalità ad un pezzo? 

F: <<Non è detto, ma per cominciare potrebbe essere già buono che il brano sia scritto in inglese.>>

J: <<Noi scriviamo con autori stranieri e quindi abbiamo ereditato uno stile di produzione durante le session che forse è un po’ internazionale. Ce ne rendiamo conto proprio quando andiamo all’estero, quando invece facciamo session qua con degli autori che non conosciamo e italiani c’è un approccio diverso.>>

F: <<Per esempio in America, quando abbiamo fatto le session a Los Angeles, avevamo tutti i giorni uno o due autori, tutti i giorni, ed erano proprio delle macchine. Zero empatia, arrivavano alla prima strofa, ritornello, seconda strofa e stop. Lo special non te lo facevano neanche perché non va di moda, invece a noi piace farlo. Poi ti dicono – “basta ciao io devo andare, ho un’altra session dopo” – in America funziona così.>>

Ma la mentalità americana, in questo caso, è legata ad un fattore culturale o semplicemente c’è talmente tanto lavoro che non hanno tempo di fare altro?

F: <<Loro lavorano sulla quantità, fanno 30 session al mese e sperano che una vada in porto.>>

J: <<E’ proprio un’industria, nel senso che ci sono talmente tante canzoni da proporre che loro neanche le seguono poi. Fanno session e sperano che tra tutte queste un artista si prenda bene con loro e faccia una canzone, poi però non la curano come dovrebbe essere fatto. Come un figlio.>>

F: <<E’ come una catena di montaggio, pensa quando siamo andati da Canova a Los Angeles, ci diceva che nella zona in cui aveva lo studio lui c’erano solo studi, una casa su due era uno studio di registrazione, quindi mentre noi facevamo session c’erano altre 500 persone nello stesso quartiere che facevano la stessa cosa. E’ come una battaglia a chi becca la canzone.>>

Come avete vissuto questa estate? Siete riusciti a suonare?

F: <<In Italia quest’estate abbiamo deciso, proprio per partito preso, di non esibirci nelle discoteche. Abbiamo suonato in Croazia: li si poteva entrare con il green pass e c’erano degli stand per fare i tamponi all’entrata. Erano super organizzati, poi invece abbiamo annunciato una serata a Mykonos ma dopo 15 minuti l’abbiamo annullata perché hanno chiuso l’isola il giorno in cui dovevamo suonare. E’ stato l’annuncio più breve di sempre (ridono).>>

Vogliamo aprire per un attimo il capitolo Inter? Vorrei sapere che sensazioni avete sulla squadra e se la vostra “Noi Siamo l’Inter” può diventare il nuovo inno ufficiale.

J: <<Siamo ancora all’inizio, a me la squadra piace, non dobbiamo buttare via le speranze e come ogni anno bisogna crederci. Per quanto riguarda “Noi Siamo l’Inter” anche lì non buttiamo via le speranze.>>

F: <<Diciamo che la canzone rispecchia perfettamente l’Inter.>>

J: <<E’ successo tutto nell’arco di due settimane, era da un po’ di tempo che eravamo in contatto con la società. Ci hanno chiesto di fare una canzone da proporre come inno, poi tra una cosa e l’altra ci siamo ritrovati in competizione con Max Pezzali e così abbiamo iniziato a promuoverla per conto nostro. Ci hanno detto che non sarebbe diventata l’inno ufficiale però questa traccia ci piaceva tanto, presentava secondo noi quello che poteva essere il brano giusto per questo periodo storico. Così dopo averla promossa abbiamo ricevuto il supporto di tutti i giocatori e questo ci ha motivato ancor di più nel credere in questo pezzo.>>