Jess: «È bello ricordarsi chi siamo e da dove veniamo»

In questa nuova puntata di Artist To Watch, nuovo format di stefanofisico.it, abbiamo fatto quattro chiacchere con la talentuosa cantautrice Jess, reduce dalla pubblicazione del suo nuovo singolo: “Non ci sta”.
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«Non ci sta la vita dentro una storia di Instagram […]», canta Jess, giovane cantautrice milanese, nel suo nuovo singolo: «non ci sta». Un brano pop (scritto con Germo e prodotto da Alessandro Gemelli) dalle metriche serrate, aspre ed incisive, in cui l’artista abbassa la maschera delle insicurezze per lasciar spazio alla consapevolezza e all’accettazione di sé in tutte le sue declinazioni. Eppure, Jessica Lorusso è una donna decisa e risoluta al tempo stesso. Sul lavoro è una perfezionista («Sono un toro»), riflette tanto sul presente e ha paura del futuro, anche se ammette di aver imparato a lasciarsi andare gradualmente ( «Sono consapevole di essere in una fase della mia vita in cui posso anche lasciarmi beatamente trasportare»).

Con lei abbiamo parlato proprio di tutte quelle paure che spesso e volentieri ci limitano e non ci permettono di aprici verso l’altro senza timori o incertezze, del filo conduttore tra il brano di debutto («nulla», uscito lo scorso gennaio) e la sua nuova fatica discografica, dell’EP attualmente in cantiere («Non so ancora se sarà un EP o una raccolta») del Primo Maggio Next (di cui è una dei finalisti), dei musical come parte integrante della sua formazione accademica e dei suoi progetti in cantiere.

Crediti foto: Ufficio Stampa

Noi ci eravamo già incontrate quando era uscito il tuo singolo di debutto, «nulla». Qual è il filo conduttore tra questo brano e il più recente «non ci sta»?

«Il disagio esistenziale da cui partono i miei pezzi. Anche se le emozioni di cui parlo sono diverse, il germe è sempre quello: sentirsi a disagio nel mondo, come se mancasse sempre un pezzettino per sentirsi al posto giusto. ‘Non ci sta’ parla, nello specifico, di tutte quelle emozioni che non siamo portati a mostrare agli altri e quindi tutto quello che ci rende ‘noi’ senza che venga sempre e continuamente visto da tutti». 

Come e quando nasce questo singolo? Ha una bella impronta R&B mescolata ad un sound di matrice pop, con un beat quasi sincopato.

«Mi fa piacere che tu abbia notato tutti questi dettagli, perché fanno tutti parte del mio stile. Se con ‘nulla’ ho preferito farmi conoscere attraverso un pezzo dalla carica emotiva importante, specialmente per far capire che i miei pezzi nascessero dalla una serie di sensazioni profonde e dalla mia intimità; ‘non ci sta’ è proprio l’emblema della mia scrittura. Mi piacciono le metriche strette e sincopate. I miei ascolti sono soprattutto R&B e questo aspetto mi fa capire che il mondo musicale da cui provengo mi influenza fortemente. Tutto è nato da quattro accordi che si ripetono nel corso della canzone e sui quali ho iniziato a scrivere la prima frase. Mi è venuto in mente un motivetto durante una notte in cui non riuscivo a dormire. Mi sono resa conto che in quel periodo ero solita piangere più di quanto ridessi, così ho scritto il verso e ho registrato a bassa voce in bagno il motivetto distintivo del brano. Di solito, quando arriva la mattina e riascolti quello che hai registrato durante la notte pensi: ‘Fa schifo! Ma cosa volevo dire?’ Invece ho subito pensato che fosse interessante. Così ho messo giù al piano gli accordi e il pezzo è stato scritto nell’arco di pochi giorni. Ho collaborato con Germo, un autore molto valido, e insieme al mio producer Alessandro Gemelli abbiamo lavorato sulla costruzione del sound del brano. Capisce sempre dove voglio arrivare e contribuisce sempre a dare la giusta impronta sonora ai miei pezzi».

Con questo pezzo, racconti la difficoltà di abbassare la maschera della perfezione. Quante volte hai sentito di aver indossato una maschera per nasconderti agli occhi degli altri? Ti è mai capitato di sentirti a disagio o fuori luogo anche tra i tuoi stessi amici e di indossare la corazza per difenderti?

«Più che sentirmi a disagio per come mi mostro, vedo che a seconda dell’ambiente e delle persone che ho intorno, vengo vista o percepita diversamente. Mi sono dovuta togliere, negli anni, l’anomea della “precisa e pesante” in un gruppo di amici. Venivo dagli anni dell’Accademia, quindi dagli anni di studio con loro. Quando mi ci metto divento un toro (ride ndr.) Se mi ritrovo in un ambiente di persone che non usano i social, vengo vista come la fanatica dei social network. Ti dico, c’è sempre un aspetto che viene enfatizzato a seconda del gruppo sociale in cui ci si trova in un dato momento. I social sono l’emblema dell’enfatizzazione, dove viene sempre mostrata una vita patinata. Penso sia normale non voler postare una foto butta su Instagram, è una dinamica che non ha una colpe nel suo principio, ma stiamo sicuramente andando verso una degenerazione di questo fenomeno. È bene ricordarsi chi siamo e da dove veniamo. Noi siamo anche le foto brutte o i piatti da lavare nel lavello. È bello ricordarselo a vicenda, ci avvicina molto come esseri umani. Posso già dirti che a breve uscirà anche il videoclip ufficiale di ‘non ci sta’ [L’intervista è stata realizzata prima dell’uscita del 13 aprile, giorno di uscita del videoclip]. La vera sfida è stata quella di creare un vero e proprio backstage della mia vita. Mi sono armata di coraggio per inserire all’interno del video delle  riprese fatte con il mio stesso telefono, per mettere in luce quelle piccole cose che non ci aspettiamo di mostrare».

Nel brano dici: “Non ci sta la vita dentro una storia di Instagram […] Però non mi va di non rendermi conto della verità/finché non si presenta sotto casa mia per portarmi via/Mi distruggerà». Cos’è per te essere un artista vero ed autentico oggi, in un mondo fortemente filtrato dai social?

«Mi spaventa molto farmi identificare dagli altri in base a come mi vedono. Quello che succede nella vita, si riversa anche nei social. Ogni giorno mi riporto con i piedi per terra e mi dico: ‘Mostro questo lato di me, ma mi devo ricordare che sono anche tante altre cose’. Non vorrei mai che la realtà si presentasse sotto casa mia per dirmi: “Ehi, vieni con me, guarda che è così la vita!”. Già questo succede di norma, ma vorrei evitare tutti questi momenti per quanto possibile (ride ndr.). Cosa significa essere un’artista vera per me? Ti direi scrivere le mie canzoni. Se sono orgogliosa di un pezzo quando viene chiuso, mi tranquillizzo. Sono critica con me stessa e mi chiedo: ‘Se lo ascoltassi, da esterna, mi piacerebbe?’ Se la risposta è sì, sono praticamente certa che piacerà anche ad altre persone. È difficile stare al passo in questo mondo. Per me fare musica è una forma di connessione tra stati d’animo e mi fa capire che ho un obiettivo, una mission: comunicare le mie emozioni agli altri e creare una comunità intorno ad esse».

Se ti ricordi, nella nostra primissima chiaccherata, avevamo parlato della ghianda di James Hillman e dell’importanza di seguire la nostra vocazione. Questo è senza dubbio il tuo daimon personale! 

«È bellissimo che tu me lo dica e che questo sia visibile. Sto andando nella direzione giusta, dai». 

Ricordo che stavi anche lavorando ad un vero e proprio progetto discografico. Come procede? Che traiettoria stai seguendo in termini di contenuti e suoni?

«I pezzi sono tutti molto diversi tra di loro, pur mantenendo la stessa cifra stilistica. A livello di sound, il messaggio che veicolo nelle canzoni richiama un certo tipo di linguaggio. Se dovessi parlare di un argomento più leggero, difficile nel mio caso (ride ndr.), so che seguirei una rimica più uptempo e dance, tendente all’house e un po’ posh. Ci saranno dei pezzi R&B, altri che invece mescoleranno questo genere con il pop. Farò uscire altri pezzi per dare un quadro generale al mio progetto e anche perché vedere tutte le canzoni, mi permetterà di offrire un quadro più ampio all’ascoltatore. Devo capire come raccogliere tutti i brani sui quali sto lavorando, ma non so ancora se in un EP, una raccolta o che. Quattro pezzi penso che siano perfetti per presentarmi, ma non perché sia fissata con i numeri. Semplicemente sento di avere quattro tipologie di mood da comunicare. Troveremo sicuramente una quadra».

Per quanto riguarda la scrittura nei pezzi, senti che sia cambiata rispetto all’epoca del lockdown?

«La figata di tornare a vivere è che si può pescare da emozioni di vita reali, concrete, anche se non sempre belle perché la vita ci mette di fronte alle situazioni più disparate. La mia scrittura è cambiata, nel senso che gli argomenti di cui parlo sono quotidiani:  racconto situazioni e persone specifiche. Nel periodo del lockdown era più un “parlare di ciò che sento dentro”. Ora parlo di ciò che vivo e sento di essere tornata alla me pre-COVID. Sai cosa? So precisamente cosa non mi piace quando scrivo. A volte butto giù una melodia e mi rendo conto che non mi appartiene ed è influenzata da qualche altro artista. Al tempo stesso mi rendo conto che i brani hanno lo stesso stile, ma cambiano gli argomenti di cui parlo. Faccio un sacco di esercizi, uno sembra persino un gioco: prendo tre parole ed inizio a scrivere a partire proprio da loro. Questo approccio mi tiene viva anche nello scrivere».

Quali sono i tuoi ascolti in questo periodo?

«Sto ascoltando tantissima musica emergente, sono in una bellissima fase di scoperta. Per rilassarmi, ascolto molto R&B. Recentemente ho avuto la fortuna di vedere Serena Brancale dal vivo: è nelle mie cuffiette da un po’ di tempo, poi è uscito il suo nuovo disco…»

Sei tra i dieci finalisti del Primo Maggio Next. Qual è stata la tua reazione a caldo una volta che hai scoperto di essere stata selezionata tra tantissime candidature e come ti stai preparando alla finale del 23 aprile?

«È stata una cosa totalmente inaspettata! Già essere tra i 150 semifinalisti era stata una sorpresa. Non l’ho scoperto in prima persona, mi hanno inviato il post in cui ero stata selezionata. Sono rimasta piacevolmente stupida, per me è tantissima roba essere arrivata fin qui. Ho iniziato il mio percorso a gennaio, mandando la mia candidatura quasi per gioco. Il pezzo in questione, ‘Nulla’ (uscito lo scorso gennaio ndr.), è piaciuto. Sto preparando una performance che mi rispecchi il più possibile. La mia musica nasce nella mia cameretta e non ho avuto modo di confrontarmi con le persone, perciò ho un modo molto intimo di cantarla e suonarla. Mi accompagnerò io sul palco per ricreare questa intimità alla quale mi sono abituata». 

Ti sei affermata nell’ambito del teatro come attrice e interprete di musical. Hai studiato alla Scuola del Musical fondata da Saverio Marconi. Quanto sono stati fondamentali quegli anni di studio e apprendimento per il tuo percorso? I musical ti formino a tutto tondo, è la preparazione più completa che un artista possa ricevere.

«Ti do ragione e credo sia anche un genere molto sottovalutato in Italia, specialmente nella discografia. C’è una visione distorta, ma all’estero gli artisti fanno teatro, cinema, tv con grande fluidità e non vengono mai giudicati. Anzi, per loro è un plus. Sono convinta che il teatro musicale, studiare recitazione, canto e danza sia veramente un valore aggiunto.  Non è un caso che chi lavora in questo settore venga chiamato “triple threat” (tripla minaccia tradotto dall’inglese ndr.). Frequentare la Scuola del Musical mi ha aiutata molto. Avevo già fatto degli studi musicali, quindi ero entrata abbastanza preparata dal punto di vista vocale e musicale, ma mi ha dato una tecnica che non avevo prima. In teatro devi reggere otto repliche a settimana e sapersi gestire è fondamentale. In Accademia puntano a formarti come tripla minaccia, ma la personalità artistica viene coltivata al di fuori da quelle mura. Io sono sempre stata con il piede in due scarpe e non credo di dover fare una scelta. A maggio debutterò in uno spettacolo, perciò spero di riuscire a portare avanti la mia carriera musicale in entrambi i modi. Potermi esprimere con le mie canzoni è l’arte più alta che possa nascere da me. Esprime chi sono in quello specifico momento, mentre a teatro tendi principalmente a veicolare l’attitudine di un personaggio». 

Crediti foto: Ufficio Stampa

Il tuo musical preferito?

«Ce ne sono tantissimi! Ti dico quello in cui debutterò a maggio: si chiama ‘Once’. La sua colonna sonora ha vinto persino un Oscar. È stato portato in scena a Broadway e nel West End e ora la Compagnia della Rancia ha deciso di portarlo a teatro anche in Italia. La particolarità di questo musical è che non c’è un’Orchestra e non ci sono basi. Ogni personaggio sul palco suona uno strumento musicale. Quando uscì a Broadway pensai: ma chi sono i mostri che riescono a fare tutto questo su un palcoscenico? È bellissimo poter farne parte».

 «A volte tiro a indovinare che ne sarà di me» canti nel pezzo. Come ti immagini la Jess del futuro, anche se sto che questo ti spaventa…

«Mi hai capito perfettamente! (ride ndr.) La canzone lo dice bene: tiro ad indovinare che cosa succederà, ma al tempo stesso sono consapevole di essere in una fase della mia vita in cui posso anche lasciarmi beatamente trasportare. Quando so di aver fatto tutto quello che è in mio potere, alzo le mani e mi lascio veramente guidare. Sicuramente sogno di portare in giro la mia musica, di fare tanti live, ma anche di continuare con il teatro, perché mi ha permesso di scoprire molteplici lati interpretativi ed emotivi di me. Mi ha sempre aiutato ad esternarli». 

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