Isotta ha debuttato lo scorso 22 aprile con “Romantic Dark” (Women Female Label & Arts / distribuzione Artist First), una collezione di pezzi in cui la cantautrice toscana si è messa a nudo per raccontare tutte le sue insicurezze e tutte le difficoltà legate alla crescita, alla maturazione e alla definizione del suo percorso di donna e artista. Nel nuovo episodio della nostra rubrica “Artist To Watch“, abbiamo fatto quattro chiacchere per scoprire come è nato il suo primo album, facendo un bel track by track che ci ha permesso di scavare in profondità e conoscere meglio chi sia Isotta oggi. Resta a voi scoprirlo.

Il 22 aprile è uscito «Romantic Dark», il tuo album d’esordio. Qual è e come è stato il viaggio che ti ha portato all’uscita di questo progetto?
«Il viaggio è iniziato quando ero piccolissimo. Mi sono avvicinata al canto insieme a mia nonna, quando avevo cinque anni. Intorno ai sei/sette anni volevo prendere lezioni di lirica, anche se nessuna maestra sarebbe stata così pazza al punto da fare lezioni di canto lirico con una bambina. Così all’epoca ripiegai sulla musica leggera. È stato amore a prima! Non l’ho più abbandonata anche quando avrei potuto iniziare gli studi di lirica intorno ai 14 anni. A quell’età, invece, iniziai a scrivere i miei brani. Sentivo l’esigenza di non essere solo un’ interprete, ma anche l’autrice delle mie canzoni. Non canterei mai le canzoni che scrivevo all’epoca, ma è stata sicuramente una bella scuola. Mi ha portato ad essere qui oggi».
Il disco si compone di 13 tracce in cui ti racconti veramente a cuore aperto, narrando la tua vita, i legami umani, le tue fragilità, le difficoltà del quotidiano, oltre alla condanna della violenza in ogni sua orma. Ti chiedo di fare insieme a me un bel “track by track” del disco.
“L’intro omonimo («Romantic Dark» ndr.) è stata l’ultima traccia che ho registrato. Ogni canzone per me è Romantic Dark, perché racconto nel dettaglio i miei sentimenti. Dark, invece, perché narro la dimensione più oscura delle cose. Lo è anche il sound, anche quando i pezzi risultano essere più dinamici, quasi come se fossero il rovescio della medaglia.
«IO» è la canzone con cui sono uscita, d’esordio, con cui ho vinto il premio Bianca d’Aponte. È stata una soddisfazione immensa e un riconoscimento del tutto inaspettato. Racconta l’energia che ti spinge ad andare oltre i cliché, compiendo un viaggio all’interno di sé stessi.
«Doralice» racconta di quando siamo bambini, quando abbiamo dei rapporti molto spontanei e diretti con le persone. Penso che sia la ricerca che facciamo durante l’età adulta, ovvero provare le sensazioni che provavamo da bambini. Nel discorso ritorno molto all’Isotta bambina. Le devo tanto e ha sofferto tanto anche inutilmente a posteriori. Nel brano c’è la presenza del parco giochi, del lunapark e dell’ottovolante.
«Cryptocornuta» è nata da un discorso sulle criptovalute con l’arrangiatore del pezzo. Inizialmente arei voluto chiamarla cryptofallita, ma visto che in passano c’erano stati dei precedenti che avrebbero potuto far pensare, abbiamo scritto questo pezzo che parla di amore e di rapporti poco chiari. È una canzone che sembra all’apparenza giocosa, ma ha anche un lato malinconico.
«Psicofarmaci» non racconta chiaramente del rimedio chimico per stare meglio, bensì di tutti i costrutti mentali che la nostra mente crea per assecondare il bisogno di sicurezze che non avremo mai. Racconto anche il suicidio della coscienza. Quando prendi questi psicofarmaci o ti vesti di convenzioni, ti allontani da te stesso e finisci per strozzarti e non conoscerti. Non riesci ad arrivare alla tua essenza.
«Kebab» è un inno alla semplicità, che è ciò che da più emozioni. All’inizio del pezzo dico ‘Io ai buffet sai che mi vergogno, portami dal kebabbaro’. Preferisco andare dal kebabbaro, piuttosto che andare in posto dove devo essere o comportarmi un certo modo. Della serie: vogliamo il massimo, ma va a finire che ci annusiamo i maglioni che puzzano di fritto. Il pezzo è nato mentre stavo guardando ‘Don’t Look Up’. Mi ha colpito molto la frase in cui viene detto: “E mentre scoppia la terza guerra mondiale, guardiamo in basso e ci annusiamo i maglioni”. Quando ho finito di scriverlo, stava per scoppiare la guerra in Ucraina e in Italia si parlava di Ilary e Totti. Con tutto il rispetto per loro, volevo dire che tendiamo a guardare in basso quando ci sono dei problemi che sono decisamente più importanti.
«Un due tre stella» racconta la difficoltà di lasciarsi andare nelle situazioni. Sono chiusa a riccio e ogni tanto cerco me stessa per trovare la parte peggiore di me. La frase che la rappresenta di più? ‘È come legare il cuore ad un cavallo matto’, che rappresenta la paura di innamorarsi.
«Pornoromanza» l’ho scritta insieme a Claudio Marini, un mio carissimo amico. Non è autobiografica, parla di revenge porn. Volevo raccontare la storia di una ragazza che aveva subito del revengeporn, provando a raccontare cosa potesse provare in quel momento. Quando la canto, la sento mia.

Per te è più facile immedesimarti nei sentimenti altrui o nei tuoi? Come trovi un equilibrio tra questi due aspetti?
«Si cerca un equilibrio, trovarlo è un altro discorso. Sicuramente riesco meglio a comprendere me stessa. Grazie a questo, provo a comprendere successivamente anche gli altri. Sarete voi a dire se mi riesce meglio parlare degli altri o di me stessa (ride ndr.) Questo emerge anche nel mio modo di cantare: cerco sempre di non imporre la mia presenza o la mia idea, mi piace esporla e piuttosto raccontarmi».
Torniamo al nostro “track by track”…
«Palla avvelenata» è il pezzo con cui sono in finale a Musicultura, sono felicissima. L’ho interiorizzata, ma ormai l’ascolto spesso almeno due/tre volte al giorno. Parla di bullismo ed è autobiografica. Quando ero piccolina ero un po’ cicciottella, ma il pezzo non parla esclusivamente di questo. Mi limito a raccontare un momento della mia vita e gli stati d’animo che provavo quando i ragazzi mi prendevano in giro. Erano piuttosto pesanti alcune volte, al punto tale che non volevo uscire di casa. Quando hai una difficoltà, bisognerebbe indossare un altro paio di occhiali. Quando sei un adolescente e ti guardi intorno, non ti basta più che siano il babbo o la mamma a dirti che sei bellissima. Guardi il mondo esterno. Questa esperienza mi ha trasmesso tanta sensibilità verso determinati temi. Quando mi chiedono ‘Che consiglio daresti?’, non so mai come rispondere. non sono una sociologa, ma mi piacerebbe sapere che il mio bravo abbia contribuito a parlare di certi problemi: dal bullismo al revengeporn. Magari qualche ora dedicata a volerci bene ed imparare a vivere meglio, sarebbero fondamentali durante gli anni scolastici.
«Hawaii» parla di una mancanza di una persona che nonostante ti trovi in un posto meraviglioso, ogni tanto arriva un dato pensiero che ti sbatte addosso e ti fa sentire male. Dimmi cosa vedi nei miei occhi, hanno ancora voglia di mancarti.
«Bambola di pezza» parla di un amore violento e nello special c’è la bambola protagonista della storia che è innamorata del giostraio che la porta tutte le sere al luna park. Una sera un ragazzo la vince e il giostraio gliela lascia. Ti fa pensare a tutte le volte in cui ci siamo innamorati di qualcuno di sbagliato e ci si trasforma in quello che non sei da innamorata, è un invito a cucirsi addosso la propria bambola ma non all’altra persona. È successo che quando ti svegli e capisci, ti innamori della tua rivoluzione e ti innamori ancora di più di te stessa.
«Tecniche di sopravvivenza» è filosofia spicciola. Parla di come cercare di sopravvivere ai momenti di tristezza e depressione.
Infine, abbiamo «Ti amo ma ho da fare». Un pezzo che ha un finale interrotto. Racconta la parola amore e quello che si avvolge intorno a questo termine, spesso inflazionato. ‘Ti amo ma ho da fare’ è un ‘non ti amo’. Racconta di una serie di solitudini che si incontrano».
«Vivo in continua ricerca intrappolata nel mio labirinto», dici in apertura al disco. Secondo te, è possibile uscire da questo labirinto o alla fine della fiera il nostro labirinto diventa un po’ una comfort zone nella quale rifugiarsi?
«Vorrei uscire da questo labirinto. Io sono da una parte e la comfort zone dall’altra. Mi viene a noia, mi stanca, mi fa sentire vuota. Avere un obiettivo e qualcosa in cui credere per arrivare ad un determinato risultato mi rende felice. Ciò che mi intrappola, però, sono gli psicofarmaci di cui parlavo prima. Sono tutte le sovrastrutture che ci imponiamo e non sappiamo nemmeno il perché».
Nella traccia «Psicofarmaci», in particolare, compare la voce fuoricampo di Claudia Gerini. Come l’hai coinvolta nel disco?
«Ho avuto la possibilità di farle ascoltare i miei lavori, le sono piaciuti e ha preso parte al progetto. Ha colto l’intenzione che volevo dare alla canzone, è stata davvero bravissima. È andata al meglio. L’intensità che ha avuto è il clou della canzone».
La tua etichetta, la Women Female Label & Arts, crede molto nei progetti al femminile. Volevo sapere come ti trovi in questa realtà che valorizza molto le giovani cantautrici, ma non solo, che hanno una storia importante.
«Mi trovo benissimo. A parte gli obiettivi e i valori della Women sono i miei. Nel mio disco, anche se non tutte le canzoni parlano direttamente di me, c’è sempre una visione femminile al suo interno. Non pensiamo di poter risolvere niente, ma è un buon modo per sensibilizzare il pubblico verso altri temi. Al suo interno troviamo anche una pittrice e una poetessa, tutto il mondo dell’arte femminile. La discografia contemporanea purtroppo soffre il ruolo della donna. Lo sai meglio di me!»
Sei tra i finalisti della 33esima edizione di Musicultura, che si terrà il 3 e il 4 maggio al Teatro Persiani di Recanati. Come ti stai preparando alla finalissima?
«Mi sto ansiando, è diverso (ride ndr.). Intanto, mi sto preparando dal punto di vista logistico. La finale sarà a Recanati, ma aprirò anche il concerto di Simona Molinari a Pescara il 7 maggio. Così mi fermerò nelle Marche per una settimana e sarò la prima apertura ufficiale del concerto di Simona. Sono felicissima. Tutto il prima mi mette ansia. Se potessero farmi salire sul palcoscenico in questo momento, lo farei subito».
Aprirai anche le date del tour di Simona Molinari. Come è nato il vostro incontro artistico? Immagino l’emozione e la conseguente consapevolezza di avere la grandissima opportunità di poter condividere il palco con una grande performer.
«L’ammiro come artista e persona. Ho avuto il piacere di incontrarla un po’ di tempo fa alle Officine Pasolini, è una persona veramente carinissima e dolcissima. Mi ha detto ‘Sono contentissima che tu apra i miei concerti’. Mi intimorisce la sua bravura, perché scherzi a parte, lei è davvero eccezionale. Ha voce e presenza scenica, è un’artista completa».
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