Girlband

Perchè abbiamo un problema con le girlband?

Dalle Ronettes alle Supremes, passando per le Spice Girls e le Little Mix, l’industria musicale sembra avere un problema con le girlband.
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La storia della musica passa anche attraverso il successo delle girlband, ovvero di tutti quei gruppi vocali al femminile che fin dagli anni ’60 hanno conquistato il pubblico globale a colpi di hit. Se in passato il tema portante delle loro canzoni erano gli amori non corrisposti o la ricerca dell’uomo perfetto, oggi il fulcro della produzione di ogni girl group che si rispetti deve avere una buona e sana componente di “Girl Power”. Ciò nonostante, l’industria musicale sembra metterle in secondo piano fin dalla loro nascita. Ci siamo chiesti: perché facciamo fatica a riconoscere il valore, il ruolo e il grande potere socio-culturale delle girlband nella società contemporanea?

Facciamo un salto indietro nel tempo. Il termine viene coniato dalle grandi case discografiche degli anni ’60, come la storica Motown, ed entra a par parte nella cultura popolare statunitense, oltre  che nel gergo comune dei critici musicali, degli addetti ai lavori e soprattutto degli appassionati di musica. Il repertorio tradizionale dei primissimi gruppi al femminile era per lo più una forma ibrida di pop zuccheroso, mescolato al doo-wop e all’R&B, con degli sprazzi di country e disco music a partire dagli anni ’70. Negli USA si affermarono voci di tutto rispetto: dalle Crystals alle Dixie Cups, dalle Shirelles alle più noteSupremes, senza escludere le Ronettes.

Ogni gruppo aveva una voce di punta, che si faceva regolarmente accompagnare da delle coriste. I loro testi erano apparentemente banali, in quanto trattavano tematiche legate alla giovinezza e alla ricerca di spensieratezza in un’epoca post-bellica. Si spaziava dal matrimonio (“Chapel of Love” delle Dixie Cups) ai primi innamoramenti (“Will You Love Me Tomorrow” delle Shirelles), dalle delusioni d’amore (“Where Did Our Love Go” delle Supremes) alla conferma di aver trovato il partner ideale con cui trascorrere il resto dei propri giorni (“Be My Baby”, un vero e proprio cult delle Ronettes).

Alcuni di questi brani diventarono un manifesto ante-litteram del femminismo, così come lo conosciamo oggi, invitando a prendere le distanze da coloro che erano soliti abusare delle donne per il solo fatto di essere uomini e quindi di avere una posizione di potere a priori nella società. Altri iniziarono a denunciarne i comportamenti, vedendo nella musica il canale espressivo migliore per comunicare dei sentimenti a lungo sopiti (“He Hit me and It Felt Like a Kiss” delle Crystals). La stessa Ronnie Spector, leader delle Ronettes, dichiarò di essere stata lungo abusata dal produttore di alcuni dei migliori successi del gruppo, prima e durante il loro controverso matrimonio.

Gli anni ’70 e ’80 sono costellati da altrettante girlband di successo, che virano verso un sound più rock e punk, come le Banarama, che conquistano il mercato con la hit “Venus“, le Go-Go’s (con “Our Lips Are Sealed“) e le Bangles (la loro “Walk Like An Egyptian” è veramente un brano senza tempo).

Tuttavia, per parlare di femminismo a 360°, così come lo conosciamo oggi, dobbiamo aspettare l’avvento delle Spice Girls. Scary, Posh, Baby, Ginger e Sporty furono il primo esempio di girl group senza filtri, senza peli sulla lingua e senza paura di far sentire la propria voce in un mondo in un’epoca in cui erano boybands come i Take That o i Backstreet Boys (oltreoceano) a dettare le tendenze di mercato. Emma Bunton, Geri Helliwell, Victoria Adams, Melanie Brown e Melanie Chisholm, cinque ragazze unite da un annuncio pubblicato dalla 19 Management di Simon Fuller su un quotidiano, hanno creato un impero che resiste tutt’ora e che può essere visto in parte come il coronamento di tutti i sacrifici fatti dai gruppi del passato nell’imporsi nel panorama discografico. 

Dopo l’uscita dell’iconico singolo di debutto del 1996, “Wannabe“, che scalò le classifiche in 37 paesi, il loro album di debutto, “Spice” ne consacrò la carriera. Vendette, infatti, oltre 31 milioni di copie in tutto il mondo, diventando il disco più venduto di tutti i tempi di un gruppo femminile. Nel corso della loro breve carriera, le cinque cantanti continuato a vendere più di 90 milioni di dischi in tutto il mondo, pubblicando tre album in studio, 11 singoli e vincendo una serie di riconoscimenti, tra cui svariati BRIT Awards per il loro contributo mastodontico alla musica inglese. Purtroppo per molti questi risultati sembrano non avere importanza. Parlare delle Spice Girls significa unicamente ricordare i loro bei faccini, la loro attitudine “frivola” e la loro inconsistenza vocale. Poco importa che abbiano tracciato la strada per altrettanti gruppi al femminile. Uno di questi risulta essere le Little Mix.

Perrie Edwards, Jade Thirlwall, Leigh-Anne Pinnock e Jesy Nelson incrociano le loro strade grazie ad un talent show, “X Factor”, nel 2011. Nell’arco di pochi mesi conquistano il pubblico britannico e diventano il primo gruppo vincitore nella storia del programma di ITV. Il loro è un percorso in salita, ma ancora una volta estremamente faticoso.  Nel 2018, infatti, le ragazze si trovano costrette a rescindere il contratto con la Syco Music, label che ne aveva lanciato la carriera. Il loro quinto album in studio, “LM5”, non gode della promozione necessaria per eguagliare i progetti precedenti. Ciò nonostante, questa scelta garantisce una grande libertà d’espressione e creatività, dalla scelta dei produttori con cui lavorare ai brani da inserire nella tracklist di LP. Dopo 6 album, 65 milioni di dischi venduti a livello globale e 19 milioni di ascoltatori su Spotify, le Little Mix hanno chiuso un ciclo durato ben 10 anni, ma che ci lascia ancora una volta orfani di un girl group che avrebbe voluto fare molto di più (persino un tour in America).

Ancora una volta, l’industria musicale ha tarpato le ali a delle giovani donne desiderose di dire la loro e di essere considerate alla pari dei loro colleghi. Un esempio illuminante è senza ombra di dubbio quello che ha coinvolto in prima persona l’ex-Oasis Liam Gallagher, quando dichiarò di ritenere ingiusta la vittoria della girlbandcome “Best British Group” ai BRIT Awards 2021, poiché “incapaci di scrivere i propri pezzi”. Come se avessimo bisogno di un’ulteriore conferma dell’estrema misoginia radicata nella musica! Sulla stessa lunghezza d’onda e con lo stesso metro di giuizio, si sono confrontate anche altri gruppi dei primi anni ’00: dalle Sugababes alle All Saints, passando per le Pussycat Dolls, Girls Aloud e le più recenti The Saturdays. Per combatterla ci vorrà ancora tanto tempo. La domanda che ci siamo posti, pertanto, risulta ancora legittima. Attendiamo delle risposte in merito.

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