Noi ci eravamo già sentiti un anno fa per l’uscita di Mai Più assieme ad Emis Killa e Rizzo. Nel frattempo hai fatto un sacco di cose tra cui pubblicare due album… Cos’è cambiato in Not Good da un anno fa ad oggi?
“Cambia che Not Good è maturato tanto, che scrive ancora più di prima però con un po’ di cognizione di causa in più rispetto all’inizio. Tante persone ultimamente mi hanno chiesto a che cosa mi sono ispirato per Vero Liricista e io rispondo sempre che mi sono ispirato a Erba Nei Jeans. Io sono partito da lì e ho preso la direzione che reputavo più consona possibile però usando un mio vecchio progetto come punto di partenza, che non è una cosa così scontata. Magari uno cerca l’influenza Weast Coast, il sound francese o qualsiasi altra roba ma a me in quel momento piaceva Erba Nei Jeans come progetto e volevo reinvestire le mie energie in quel lavoro”.
Come lo stesso titolo dell’EP dice, dai estrema importanza alle parole e a quello che vogliono comunicare. Particolarmente significativa è la traccia di apertura, quella che dà il nome all’album. Raccontacela un po’.
“La traccia in sé, Vero Liricista, ci abbiamo messo un po’ a realizzarla… Nasceva con un’altra versione, la prima versione non ci convinceva, ci abbiamo lavorato tanto. Potrebbe sembrare un po’ strano perché tra tutti i pezzi è quello che ha avuto un approccio più rap, soprattutto all’ascolto. Uno magari si aspetta che il pezzo più difficile sia Radio Malinconia, invece è stato Vero Liricista... L’ho dovuta registrare due volte, non mi convinceva il beat, tant’è che poi era diventata quasi un’ossessione in maniera positiva. Ci tenevo così tanto che questa cosa fosse nell’EP e suonasse come volevo io. C’è anche da fare una distinzione, tante volte una cosa suona bene però magari non è come ce l’ho io in testa, quindi abbiamo passato tanto tempo, grazie a Sine e a Marco Zangirolami, a trovare quel sound che mi piacesse. Poi quando è uscita come la volevo mi son detto “Va valorizzata“, deve essere un punto cardine nell’EP e così è stato”.
É una traccia molto sincera
“Mi gioca un po’ a sfavore ma a favore. Adesso si dice che non si può più dire nulla, io mi sento di aver detto tutto e anche un dito di più, con il giusto peso che ho dato alle mie parole”.
Sia per il testo che per la sonorità rimanda tanto al rap vecchia scuola
“Qua bisogna ringraziare il maestro Sine, che è stato veramente eccezionale”.
Nella traccia “In una bara” dici in italia, se fai un disco, un mese dopo è roba vecchia. Perché secondo te non c’è più questa cultura del disco? Solo per una questione di streaming o c’è altro dietro?
“C’è tanto altro dietro. É chiaro che minimizzare il discorso a quello che ho detto è una punchline, il discorso andrebbe preso a monte. Non è neanche solo in Italia… Siamo una generazione che vive fast, vive tutto velocissimo. Esce una release dopo l’altra, se non ti piace il disco del tuo rapper preferito il venerdì dopo troverai sicuramente qualcosa che ti piace. Ci hanno abituato, secondo me anche in maniera sbagliata, a questo fast continuo che alla lunga diventerà la nostra condanna. Basta fare un disco all’anno senza fare mille dischi che la gente sta lì a dirmi “Caspita però è passato un anno dall’ultimo EP“, un anno son 12 mesi! Io ce ne metto due solo per mixare, dammene altri per scrivere e ci ho pure messo poco! Io guardo questo fenomeno da lontano incuriosito più che sconsolato, mi fa sorridere”.

Nel disco ci sono due collaborazioni, una con Chadia e una con Vegas Jones, come nascono?
“Con Vegas ci eravamo visti ad un concerto di Emi, ci eravamo già conosciuti. Ad un certo punto gli ho scritto dicendogli di avere un pezzo che avrebbe potuto fare al caso suo, poi io non gli ho mai nascosto di essere un suo grande fan, quindi quando ne abbiamo avuto l’occasione ci siamo chiusi in studio da me per 10 ore. All’inizio avevamo iniziato un altro pezzo, dopo 7 ore in studio non l’avevamo chiuso, allora siamo andati a Qualcosa Cambia che invece è nato in un paio d’ore, quindi abbiamo fatto bene a cambiare”.
Con Chadia invece?
“Con lei è stato un po’ diverso. Dall’altra parte sapevo che volevo Vegas nel mio progetto, Chadia invece sapevo di volerla in quel determinato pezzo e su quel ritornello. Non l’ho neanche fatto apposta, è stato un caso fortuito. Ho scritto Vetri Fumé e ascoltandolo mi son detto che ci sarebbe voluto la voce di una donna che sia in contrapposizione con me. Infatti se si sente bene il pezzo anche il mix cambia tanto: le mie strofe sono molto sature, invece la sua voce viene un po’ alleggerita, ci sono meno sporche, è tutto pensato”.
Tornano al titolo, quali sono i veri liricisti del panorama rab e urban odierno?
“Sicuramente Emis, Marra, Gué, Jake la Furia indubbiamente, Noyz. Adesso quando si pensa ad un artista nuovo la prima cosa che ti chiedi è cosa ha portato, sembra che essere bravi a scrivere non sia un’innovazione perché probabilmente ci sono già le persone che hanno portato questo come marchio di frabbrica, vedi Marra. Quindi dico tutti quegli artisti che non si sono crogiolati nel sound, perché negli anni cambia inevitabilmente, ma che hanno fatto della scrittura la loro evoluzione principale, che poi certamente si coordina anche con la parte strumentale. Anche Lazza, lui è più che un vero liricista”.
Quando ho letto il titolo del progetto mi è subito venuto in mente Inoki con Lirico Alchimista. Il rap vecchia scuola dava più importanza alle parole e alla comunicazione rispetto ad oggi e penso che tu sia d’accordissimo con questa affermazione. Quali sono stati i tuoi maestri?
“Ho appreso veramente tanto da Marra, Emis e da Fibra, loro sono tre punti di riferimento. Io sono del ’97, i brani vecchia scuola li ho recuperati più avanti, sono diventato super fan di Uomini di Mare, ma prima ho dovuto fare degli step per conoscere il panorama. Non è il rap che si è impoverito, ma la comunicazione odierna. Il rap si adatta alla società ed è anche giusto che non abbia sempre la pretesa di essere un monito di conoscenza per tutti, ci sta anche il rap frivolo. Personalmente quando ascolto una cosa devo pensare “Questa roba avrei voluto scriverla io“. Non ho la stessa pretesa col sound”.
Qual è la parola chiave di questo EP, che cosa vuoi comunicare a chi lo ascolta?
“Costanza, che c’è tanto lavoro dietro. Dico una roba che magari non mi torna troppo utile, io anche sui social non sono un mago della comunicazione e lo dico fresco del fatto che sono del ’97 e non è che internet mi è lontano. Semplicemente non è una chiave con cui comunico, io ho bisogno di comunicare coi testi. Se devo fare una polemica devo scrivere un bel brano e farlo uscire, se devo dire qualcosa lo faccio così. Secondo me tutto si riassume con la parola costanza perché abbiamo lavorato tantissimo, non mi sono mai fermato. Ho finito di scrivere l’EP e avrò già, senza esagerare, 20 pezzi, continuo a far musica”.
Dato che i concerti sono ormai tornati parliamo di live, quale canzone non vedi l’ora di cantare con il tuo pubblico?
“Se dico “In Una Bara” sembro cinico? (ride ndr) Ma c’è un perché! Ti racconto un fun fact per chiudere. Alla primissima versione dell’EP mancava un pezzo che fosse scritto in quell’ottica del concerto, per vedere la gente saltare, io però scrivo senza controllare quello che scrivo. Ad un certo punto guardo Vinz, uno dei miei produttori, e gli dico “Vinz, qua manca un banger!” e lui mi ha detto che finalmente era contento che io lo avessi capito perché me lo stavano dicendo da un po’. Quando poi l’ho scritto mi sono concentrato sul ritornello per far sì che fosse forte e bello da cantare. Quindi sì, penso sia quello il brano che mi incuriosisce”.