Cristiano Sbolci, in arte Caleido, è un cantautore livornese classe ’89. Il suo ultimo singolo si intitola Noi Suonavamo In Un Gruppo Rock e guarda con consapevole nostalgia al suo passato biografico facendo anche confronti generazionale. Oltre che parlare della carriera artistica di Caleido abbiamo parlato con lui proprio di questo, della percezione della nuova generazione verso la musica che ha caratterizzato la sua adolescenza e di come, sempre di più, stia tornando in voga.
Il nuovo singolo si intitola Noi Suonavamo In Un Gruppo Rock, un titolo autobiografico o legato ad altro?
“É molto biografico. Ho fatto parte di una band per anni, si chiamava Siberia e stava girando molto. La pandemia ha bloccato la vita e sciolto il gruppo, quindi ho preso questa frase che è venuta fuori poi da altro, dai pensieri che avevo nel passato. È venuta fuori perché una sera guardavo un live dei Pulp su YouTube e dopo scrissi un pensiero che finiva proprio con quella frase un po’ nostalgica che rimandava a quello che avevo vissuto con altri amici. Giorni dopo ripresi in mano quel pensiero e quella frase mi colpì tantissimo, tanto che mi dissi che doveva essere la prossima canzone e così è stato”.
Come si può notare dal titolo il brano è impregnato di una certa nostalgia, è l’inizio di un viaggio più grande?
“Ho scritto molte canzoni e ne sto scrivendo ancora, alcune di queste hanno un po’ questo spirito nostalgico. Non so se il futuro album sarà incentrato su questa tematica… Io mi ritengo un esperto di canzoni di non amore, sono bravo su quello più che sulle canzoni nostalgiche. Però potrebbe darsi che qualche brano potrebbe continuare su quel filone lì, alla fine mi fa stare bene, ricantarle rivivendo quei momenti è sempre molto piacevole”.

La musica è cambiata nel tempo, negli anni ’90 i giovani oltre che vederla chiaramente come svago ne traevano davvero importanti insegnamenti, a partire dalle critiche sociali. Oggi questo accade con molta meno frequenza… Pensi che questo sia dato dal timore di dire le cose come stanno o da altro?
“Non so neanche se positivo o negativo questo mutamento però è avvenuto soprattutto per l’utilizzo del digitale. La velocità delle mode cambia in maniera repentina, quindi anche le cose che hai da dire sono molto passeggere, mentre prima un prodotto artistico che poteva essere un disco durava veramente molto tempo. Io mi ricordo che da ragazzino compravo il disco degli Oasis me lo mettevo nello stereo e lo ascoltavo per un anno, finché quel disco non funzionava più. Oggi invece è tutto molto veloce…
Diciamo che c’è stato un po’ un ritorno ai geroglifici, parliamo con le emoji, ci accontentiamo di comunicare con fotografie e tre parole di caption giusto perché devi far vedere che hai studiato qualcosa. Questo secondo me ha influito molto sulle questioni, sulle tematiche e su tutto quello che c’è da dire”.
Nel brano c’è un verso che fa proprio un confronto generazionale e citi Kurt Cobain. Ci sono stati degli artisti che per i ragazzi degli anni ’80/’90 erano proprio degli esempi da seguire, dei miti. Quali sono stati i tuoi?
“Io sono cresciuto principalmente a pane e Beatles. Io sono dell’ ’89 quindi la mia adolescenza ha avuto quei personaggi là. Io avevo gli Oasis, i Blur, ascoltavo i Nirvana, gli Smashing Pumpkins ma perché era normale in quegli anni ascoltare quella roba là. Quindi direi che i miei miti arrivano tutti da quella scena rock, brit-pop che poi si è portata avanti anche per i primi anni 2000 e i Beatles. Questi sono i miei guru, i Beatles principalmente”.
Sembra però che sempre più giovani, ultimamente, si stiano avvicinando alle sonorità anni ’80 e agli stili di musica che caratterizzavano quei periodi provando in qualche modo una certa nostalgia pur non avendolo vissuto. Come mai secondo te?
“Io credo che tutti i percorsi artistici siano ciclici e quindi ogni volta torna sempre quello che già è successo. Io mi ricordo che all’avvento dell’indie italiano c’era questo ritorno agli ’80, ai sintetizzatori a un mondo che era già stato vissuto ma che qualcuno non aveva vissuto perché non c’era fisicamente quindi ha deciso di riviverlo. Adesso secondo me stanno tornando molto gli anni ’90, sono tornate fuori le chitarre e queste robe di gusto, moda un po’ più grunge ma perché credo che ogni generazione poi voglia un po’ rivivere quello che già è stato vissuto. Io sto rivivendo gli anni ’90 per la seconda volta in qualche modo.
Li ho vissuti alle elementari e poi alle medie e adesso li rivivo da 30enne e forse sono più belli adesso. Però era più bello rivivere gli anni ’80 quelli veri, perché oggi non ci sono più i Nirvana, gli Smashing Pumpkins e neanche gli Oasis…”.

C’è qualcosa, tornando indietro nel passato, che cambieresti della tua adolescenza negli anni ’90?
“Io sono molto appassionato dallo sviluppo di quella che è la mia persona, quindi sono felice di quello che ho vissuto, anche delle robe meno piacevoli, e sono contento dello sviluppo che ho avuto. Non cambierei… Come dice Ligabue nell’ultima canzone “non cambierei la mia vita con nessun’altra“, forse neanche io, nonostante sia una vita abbastanza ordinaria e normalissima però ci sto dentro e ci sto molto bene, è confortevole”.
Finalmente sono tornati i concerti, tu sei ritornato da poco in tour e ne hai concluso un altro che ti ha visto protagonista assieme ad Open Stage, partendo da Torino durante la settimana dell’Eurovision. Com’è andata?
“É stata molto bella. Portare le canzoni in giro è sempre molto piacevole poi, dopo due anni di fermo, è ancora più bello. Abbiamo trovato con la discografica questa partnership insieme a Open Stage e mi ha permesso, assieme al ragazzo che suona la chitarra, di fare varie tappe di questi eventi molto carini”.
Il sognare accomuna tutte le generazioni e, come sempre, chiudo chiedendoti cosa ti aspetti dal tuo futuro artistico?
“Quello che spero è principalmente continuare a scrivere le canzoni e avere l’iter che ho sempre avuto: scrivere, registrare e portarle in giro dal vivo. Il sogno è quello di far sempre di più. Però il mio obiettivo principale è quello di portar avanti il progetto Caleido e avere la capacità di continuare a scrivere canzoni”.