É uscito lo scorso 18 novembre il nuovo singolo di Peter White “Dall’altra parte del Mondo che, assieme al precedente “Lunatica“, apre la strada ad un nuovo percorso artistico per Pietro. Un cambio di rotta che lo vede staccarsi da una major, per tornare indipendente e per tornare a fare musica in maniera estremamente spontanea senza troppe costrizioni.

Un brano che arriva a Peter White come un fulmine a ciel sereno, nato d’improvviso in studio a Milano durante una giornata in cui, la mancanza di una persona amata, era alimentata al massimo. Un brano sincero e spontaneo, il proseguire di un percorso artistico a cui Peter vuole dedicarsi all’arte a 360 gradi, occupandosi anche della realizzazione delle copertine dei singoli.

Intervista a Peter White

Partiamo dall’ultimo singolo, hai detto che è arrivato ed è nato come un fulmine a ciel sereno. Ci racconti un po’ il processo creativo?

“É una canzone particolare, innanzitutto perché nasce a Milano, già questa per me è una novità, di solito i miei brani nascono nella Capitale. É il primo esperimento con un nuovo produttore: Simone Borrelli, nome d’arte JRMY. Sono andato a Milano nel suo studio e, come ho scritto, avevo veramente poco tempo, tre giorni e poi un treno per Roma. Solitamente, la musica, è molto imprevedibile, perché non sai in quanto tempo può nascere una canzone.

Secondo me, il grosso di una canzone, nasce in maniera estremamente fulminea o estremamente lenta. Quando si cambia studio e produttore, non è una situazione semplice, serve una sinergia particolare e io l’ho trovata. Sul treno di ritorno, con le cuffiette, mi sono messo ad ascoltare la prima demo, che è molto fedele al pezzo originale, quindi è stata una canzone spontanea. Secondo me, la spontaneità nella musica vince quasi sempre”.

Dall’altra parte del Mondo“, come dice il titolo, è una canzone che rimanda alla distanza da una persona. A volte la distanza rafforza il rapporto, a volte divide… Come la vivi tu?

“La cosa che mi ha fatto più riflettere è il fatto che la distanza poi, in realtà, non cambia se a dividere le persone sono 1000 km o 1. Poi ci sono tanti tipi di distanza, c’è una distanza che può essere emotiva, mentale, fisica. Quindi, secondo me, serve un equilibrio. La distanza può essere un’opportunità, però presa in piccole dosi, poi ognuno la vive in maniera diversa. C’è chi ha bisogno di stare tanto da solo, chi non lo sopporta… Io sono una via di mezzo. Ho bisogno dei miei spazi ma, in alcuni momenti, come in quello in cui ho scritto questa canzone, avevo bisogno di un’altra persona e ne sentivo la mancanza”.

Con “Lunatica“, il singolo precedente, dici di aver voluto iniziare un percorso completamente nuovo. Come lo descriveresti questa nuova strada? Da quali sentimenti è caratterizzata?

“Ritorno sempre al concetto della spontaneità. Dopo due dischi ti rendi conto di alcune cose, soprattutto dopo un disco fatto con una major. Questo ti dà tante possibilità ma, allo stesso tempo, ti fa iniziare a ragionare in un’ottica diversa perché c’è un team molto più esteso, molte più voci in capitolo per la parte artistica. Sentivo la necessità di tornare a fare musica come ho iniziato a farla, ovvero: vado in studio, scrive una canzone, mi piace e la faccio uscire, non mi piace, non la faccio uscire.

Mi rendo conto che questo ti premia, perché canzoni come Narghilè o Primo Appuntamento, sono canzoni che vengono dal cuore. Non che Millisecondi non venga da lì, anzi, è un disco a cui ho dedicato l’anima, ma allo stesso tempo è stato anche più studiato rispetto a Primo Appuntamento, che aveva anche la leggerezza dell’inizio. Da Lunatica ho voluto fare un passo in avanti ma, allo stesso tempo, all’indietro. Tornare a fare musica in maniera spontanea, perché mi rende felice”.

Pensi che chi ti ascolta dall’inizio abbia percepito questo ritorno alle origini?

“Sì. Io però non ho mai pubblicato niente che non fosse assolutamente spontaneo, la credibilità è questo. Nel momento in cui mi renderò conto che sto scrivendo una canzone tanto per, sarò il primo a dire che forse è meglio smettere. Bisogna essere onesti, perché si percepisce. La musica mente ma fino ad un certo punto, è una di quelle arti dove non si può mentire, perché arriva. Credo che il pubblico abbia percepito una certa differenza, o comunque un percorso leggermente diverso da quello di Millisecondi. Allo stesso tempo credo che ci sia coerenza, però, nel mio percorso”.

Si dice spesso che la musica possa diventare cura. A chi pensi possano arrivare di più i brani che stai pubblicando?

“C’è una cosa per cui “litigo” un po’ col mio manager. Lui dice che il suo lavoro inizia quando finisce il mio, ovvero la pubblicazione del brano. Io ho un’idea molto particolare, secondo me, facendo musica, uno possa anche scegliersi il proprio pubblico. Le canzoni che faccio sono uno specchio della mia persona, alcuni concetti che esprimo credo possano arrivare a persone che realmente sono più simili a me. Io credo che la particolarità della musica stia nel fatto che la gente vi si possa riconoscere o riconoscere un periodo.

Secondo me la musica è uno specchio temporale, un album ti piace perché ti può far ricordare di un particolare periodo della tua vita, bello o brutto. La musica riesce a rievocare dei ricordi in maniera quasi crudele a volte, ma allo stesso tempo in maniera meravigliosa”.

Peter White

Qual è la musica che rievoca in te dei bei ricordi?

“Il periodo a cavallo tra il 2017/2018, quando ho iniziato a fare musica io, era estremamente fiorente. C’era di tutto… C’era Franco, Coez con Faccio Un Casino, c’era Calcutta che usciva in maniera molto più densa rispetto ad oggi. Quel periodo il panorama romano andava tantissimo, però se ti devo dire il mio artista è De Gregori. Per me lui è il numero uno, un idolo. Quando ascolto lui mi ricorda dalla mia adolescenza ad oggi.

Poi cambio anche l’interpretazione, De Gregori ha la capacità di trasformare il mio grado di interpretazione delle canzoni. Quando avevo 14 anni e sentivo Rimmel mi piaceva, ma non mi concentravo sul testo poi, col passare del tempo, ogni parola prende una sfumatura. Questa cosa mi colpisce”.

Ne parlavo recentemente. I brani della generazione di cantautori di De Gregori, Cocciante, Dalla sono così intense e significative che andrebbero studiate a scuola

“Assolutamente. Soprattutto in un periodo dove il testo, nella musica, sta passando un po’ in secondo piano. C’è l’influenza americana dove il mood è quasi tutto, quindi la parte musicale sta avendo il suo riscontro, che è anche giusto, però allo stesso tempo il testo sta proprio sparendo. La qualità del testo, la cernita, la costruzione… É molto più povero rispetto a prima. Ma siamo anche noi un po’ più poveri di concetti”.

Un altro artista mi parlava di questo dicendomi che si è proprio impoverita la comunicazione, non abbiamo più voglia di provare a perderci nelle parole e trovarci il significato magari nascosto.

“Esatto. Tutto troppo semplice, perché abbiamo tutto a portata di mano, anche con la tecnologia. É tutto più rapido, c’è meno riflessione e, automaticamente, meno costruzione”.

Chiudiamo parlando di obiettivi futuri. Cosa ti aspetti da questo nuovo percorso?

“L’obiettivo è quello di fare un terzo disco e di continuare a fare i concerti che ho iniziato quest’anno, ne ho parecchi in ballo per il 2023, mini spoiler. Mi auguro un 2023 pieno di musica, sia da ascoltare che da rilasciare”.